Le parole sono importanti. E forse ci perdiamo sui convegni e le analisi mentre qualcuno serve elementi che semplificano la visione, devastanti nella loro semplicità, mentre ci dicono cosa sta succedendo e quali sono i lati della storia che non riusciamo o non vogliamo vedere. E che comunque sono sempre difficili da raccontare. Giuseppina Pesce ha deposto durante un’udienza del processo “All Inside” che ha portato alla sbarra la cosca Pesce proprio grazie alle sue dichiarazioni. Le frasi sono lame affilate. Lo racconta un articolo di net1news:
«I contatti con Carnevale – ha detto la pentita – avvenivano tramite mio suocero, Gaetano Palaia, che era suo amico». Il giudice Carnevale, il quale in alcune intercettazioni proferiva insulti contro il defunto giudice Giovanni Falcone, veniva definito “l’ammazzasentenze”: era stato il pentito Gaspare Mutolo a dichiarare che Carnevale era “avvicinabile”. Dopo di lui altri 11 pentiti hanno fatto il nome del magistrato. Nel 2002, però, la Cassazione lo ha assolto con formula piena perché “il fatto non sussiste”, constatando prove insufficienti a sostenere tali accuse e respingendo anche le deposizioni dei colleghi di Carnevale, magistrati di cassazione, che denunciavano le sue pressioni per influire sui processi: secondo i giudici le loro dichiarazioni erano inutilizzabili in giudizio. Successivamente la deposizione di Pina Pesce ha avuto come oggetto la descrizione degli affari della cosca Pesce. Questa, secondo quanto ha affermato la pentita rispondendo alle domande del pm, Alessandra Cerreti, trae enormi guadagni dal controllo degli appalti per l’ammodernamento dell’A3 nel tratto che attraversa la Piana di Gioia Tauro per quanto riguarda, in particolare, i lavori di movimento terra. In più, ha riferito ancora la pentita, ci sono le estorsioni: « Non c’è un negozio o un’impresa di Rosarno – ha detto Giuseppina Pesce – che non paga il pizzo. A meno che non sia di proprietà di nostri parenti». La pentita ha riferito delle disposizioni che vengono dettate dai capi della cosca detenuti attraverso colloqui con parenti che si spacciano come loro familiari grazie a falsi certificati di parentela che sono stati rilasciati dal 2006 e fino al 2011 dal Comune di Rosarno. Giuseppina Pesce ha parlato anche di come la cosca riuscisse a nascondere i cadaveri delle persone uccise e fatte sparire nel cimitero di Rosarno minacciando i dipendenti. «I corpi di mio nonno Angelo e di mia zia Annunziata – ha detto la pentita -, uccisi entrambi per punizione perchè avevano relazioni extraconiugali, in realtà non sono stati portati lontano da Rosarno. Si sono sempre trovati nel cimitero del paese in loculi senza nome dove venivano tumulati di notte». Un ultimo riferimento la pentita l’ha fatto al giro di carte di credito clonate gestito dalla cosca. «Carte – ha detto – intestate a clienti statunitensi che le hanno utilizzate in alberghi e ristoranti della Lombardia. Ne ho avuto una anch’io e l’ho usata un paio di volte prima che il titolare la revocasse dopo avere notato spese che non aveva effettuato».
Ecco, per chi voleva una lezione di mafia (e antimafia) qui gli elementi ci sono tutti.