«Con la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare». E poi: «l’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della iper-tecnologizzazione e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia».
C’è da sperare che il testo con cui si è presentato il neo ministro alla Cultura Alessandro Giuli sia stato scritto da un suo fidato e scarso collaboratore. Avremmo almeno una spiegazione sul suo incespicare in un discorso che avrebbe voluto essere un manifesto culturale e invece si incaglia nel genere delle supercazzole. Il ministro avrebbe potuto, almeno, ripeterlo un paio di volte davanti a uno specchio nella sua camerata. Si sarebbe accorto dell’effetto tragico che fa l’ampollosità quando viene sfoderata per fingere di sapere. Si sarebbe accorto, forse, anche della citazione sbagliata su Hegel.
Al di là del niente mischiato con il niente però Giuli ci fa sapere di essere perfettamente in linea con la premier nel neocolonialismo del cosiddetto Piano Mattei («mettere a disposizione dei Paesi africani le nostre capacità») e nel panpenalismo del Decreto Caivano («interessarsi delle periferie senza considerarle tali», dice).
Il ministro tutto patina e distintivo è pronto per iniziare.
Buon mercoledì.