Scrivo poco (e qualcuno me lo fa notare) di partito piuttosto che di politica. Sono mesi che ricevo telefonate pronte a lenzuolate giornalistiche per un mezzo scandalo di questo o quel gruppo dirigente di qualche partito. Mi chiedono se non sarebbe bello versare un po’ di bile da spargere a caro prezzo. No, rispondo io, perché non ne ho e non interessa a nessuno. Perché quando ci diciamo che c’è un paese da ascoltare in fondo chiediamo (anche a noi stessi) di smettere di parlarci addosso e provare a sentire le corde che vibrano nel Paese. Un comune sentire, forse si direbbe così, che sposa i bisogni, gli obbiettivi, le modalità.
Se un giorno pensassi che non fosse possibile, rinuncerei per non perderci troppo tempo: non ho mai iniziato uno spettacolo o un libro che non avesse forte nel cuore una pur piccola presunzione di cambiamento. Eppure le riflessioni dopo la tecnicità di questi mesi è quasi sempre una riflessione algebrica, di solito nemmeno troppo articolata, di somme e sottrazioni e il comune sentire rimane solo l’ultimo paragrafo da scrivere per metterci sopra a tutto il resto un pelo di poesia. Si decide dell’UDC, si somma la parte cattolica del PD, si sottrae la parte sinistra dell’IDV insieme alle ancelle di qualche paio di movimenti. Si tira una riga e si prega a mani giunte che faccia cinquanta più uno. Con la boria dei matematici senza dubbi. Ecco, no. Grazie.
Forse abbiamo bisogno di decidere che il sentire comune sia il padre di ogni bene comune. E che sia un padre naturale senza strane adozioni o affidamenti speculativi. E la ricerca si spegne davanti all’ansia matematica. Come scrive bene Gustavo Zagrebelsky la democrazia, come la concepiamo e la desideriamo, in breve, è il regime delle possibilità sempre aperte. Non basandosi su certezze definitive, essa è sempre disposta a correggersi perché – salvi i suoi presupposti procedurali (le deliberazioni popolari e parlamentari) e sostanziali (i diritti di libera, responsabile e uguale partecipazione politica), consacrati in norme intangibili della Costituzione, oggi garantiti da Tribunali costituzionali – tutto può sempre essere rimesso in discussione. In vita democratica è una continua ricerca e un continuo confronto su ciò che, per il consenso comune che di tempo in tempo viene a determinarsi modificandosi, può essere ritenuto prossimo al bene sociale. Il dogma – cioè l’affermazione definitiva e quindi indiscutibile di ciò che è vero, buono e giusto – come pure le decisioni di fatto irreversibili, cioè quelle che per loro natura non possono essere ripensate e modificate (come mettere a morte qualcuno), sono incompatibili con la democrazia.
Per questo penso che l‘Assemblea Generale di Sinistra Ecologia e Libertà di domenica a Roma abbia un buon profumo: perché a Roma con noi ci sono Rita Borsellino, Luigi De Magistris, Rossana Dettori, Michele Emiliano, Maurizio Landini, Mimmo Pantaleo, Giuliano Pisapia, Massimo Zedda e molti altri. E sono ospiti dello stesso sentire. Nessun polo da aggiungere. Il primo polo. Il nostro polo.
(Per quelli che amichevolmente mi rimproverano di “indipendentismo”: sì ci sono anch’io. Intervento in tarda mattinata. Fiero di essere nel nostro polo.)
(Foto di Turi Di Domenico)