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Il reddito di quarantena

È apprezzabilissimo lo sforzo di chi ogni giorno ci ricorda che rimanere a casa sia la soluzione più immediata e più intelligente per sconfiggere il coronavirus ed è apprezzabilissimo lo sforzo del governo che ci ripete di evitare gli spostamenti e i contatti sociali. Ci sono anche questi bei video, di influencer e testimonial, che ci invitano a leggere un libro (il loro, magari) o ascoltare buona musica (la loro) e lo fanno dai loro bei salotti. State a casa, dicono. Stiamo a casa.

Ma gli operai? Quelli non possono mica portarsi a casa un pezzo della linea di produzione, non esiste la catena di montaggio a domicilio. Anzi, volendo vedere si fatica anche non poco a mantenere le disposizioni di sicurezza dentro la fabbrica. E quelli (e sono tantissimi) che se non lavorano non guadagnano? Prendete le ferie!, dicono. Sì, ciao. Le Partite Iva le ferie se le sognano, per loro le ferie significa semplicemente non fatturare. E quelli che ne stanno approfittando per licenziare usando la scusa del coronavirus? Ne vogliamo parlare?

È vero che stare. casa significa rendersi conto che non si vive solo di diritti ma quelli che hanno l’inderogabile dovere di uscire? Di prendere i mezzi pubblici? Quelli li diamo per persi? È gente che va a lavorare per mantenersi e per mantenere la famiglia, che si fa?

E quelli che stanno perdendo il lavoro? E quelli che hanno un negozio e non vendono e comunque alla fine del mese devono pagare le tasse e l’affitto?

Insomma, c’è un sottobosco (forse più ampio del bosco) di cui si dovrebbe parlare di più. Sono quelli già sconfitti dal coronavirus perché sono già allo stremo. Se lo Stato impone una misura dovrebbe sapere che ci vuole qualcuno che paghi il danno di quella misura. E guarda un po’ è lo Stato.

Qualcuno ci ha pensato al reddito di quarantena?

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.