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Immigrazione, il calvario quotidiano nelle questure italiane per il rispetto dei diritti. La fotografia dell’Asgi

Come si chiama uno Stato in cui sono le questure a non garantire il rispetto dei diritti? Agli operatori e alle operatrici che tutti i giorni hanno a che fare con le questure italiane in tema di migrazioni è chiaro da tempo che l’amministrazione pubblica fa di tutto per sabotare l’accesso ai diritti fondamentali. Non potendo scrivere leggi che violino il diritto internazionale la mancata applicazione di quelle esistenti è la via più facile – e forse più vigliacca – per raggiungere lo stesso il risultato. Vengono così ostacolati l’accesso a diritti fondamentali, quali la protezione internazionale, l’accesso a misure di accoglienza o il rilascio di permessi di soggiorno. L’utenza straniera, senza poter far riferimento a mediatori linguistici e senza adeguata informativa legale, è particolarmente esposta a tali violazioni.

Per questo l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha dato il via a un progetto pilota per monitorare la situazione in 55 questure italiane. I risultati, manco a dirlo, fotografano un Paese in cui l’illegalità s’è fatta sistema. Leggendo la mappatura delle prassi illegittime delle questure italiane di Asgi si scopre che in moltissime province d’Italia i richiedenti asilo non riescono ad accedere alla propria questura di riferimento per presentare domanda di protezione internazionale (sono il 60% delle risposte ricevute al questionario di Asgi). Anche dopo l’avvenuto primo accesso in numerosi territori ai cittadini stranieri viene impedito di formalizzare la relativa domanda (21% delle risposte ricevute). 

Nelle questure italiane sono ostacolati l’accesso ai diritti fondamentali

Nella maggior parte delle questure considerate, i richiedenti asilo non riescono a presentare domanda di protezione internazionale in quanto viene richiesta loro l’esibizione di una dichiarazione di ospitalità (almeno in 40 province) ovvero del passaporto (almeno 3 province). Si tratta di richieste arbitrarie prive di fondamento normativo. Nella maggior parte dei casi, il cittadino straniero può prendere un appuntamento da solo (22% delle risposte) mentre negli altri casi l’accesso alla questura è garantito solo grazie ad un appuntamento rilasciato attraverso l’intervento di un avvocato (16% delle risposte) o di un’associazione/sindacato (21% delle risposte). Di conseguenza, i richiedenti asilo sono costretti a mettersi in fila davanti ai cancelli della questura fin dalla mattina presto, se non a partire dalla sera prima.

In alcune Questure d’Italia (Roma, Perugia, Savona, Torino, Sassari, Lucca) è stato rilevato che vengono ricevute solamente 5-15 domande al giorno: chi non rientra tra i primi della fila viene rinviato ai giorni successivi senza un appuntamento. E il giorno dopo potrebbe accadere di nuovo. Una pratica che diversi Tribunali hanno condannato ma nulla è cambiato. Quali che riescono a superare tutti gli ostacoli e presentano la domanda d’asilo devono comunque attendere ancora, incrociando le dita: possono passare mesi tra la presentazione della domanda di asilo e la formalizzazione, malgrado la legge preveda espressamente che la domanda di protezione internazionale debba essere formalizzata entro il termine di tre giorni lavorativi o, in caso di arrivi eccezionali, entro dieci giorni. In 23 province d’Italia ai richiedenti asilo non è stato possibile accedere all’accoglienza durante l’intero procedimento sulla base di una presunta “indisponibilità di posti nel circuito di accoglienza”, anche se la legge prevede l’obbligo di individuare soluzioni immediate. 

Del resto, pensateci bene, cosa c’è di meglio di concimare un’emergenza per proporsi come risolutori? Accade così, da molto e ancora per molto. 

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