Non sono bastati 28 anni. Non è bastato il disastro di Roberto Formigoni, che ancora deve restituire qualche milione di euro come ordina la sua condanna, non è bastata la condanna che fu di Domenico Zambetti, assessore alla casa che comprò i voti dalla ‘Ndrangheta, non è bastato desertificare gli ambulatori dei medici di base, non sono bastati i disservizi di Trenord che ogni giorno strazia i pendolari lombardi, non sono bastati gli anziani nelle Rsa falcidiati dal Covid e dall’illogica decisione di mischiarli con il Covid, non bastano le infinite liste d’attesa, non basta la distrazione di soldi pubblici su ospedali e su scuole privata, non bastano le agenzie regionali (da Aria a Arpa) in cui la classe dirigente viene scelta per vicinanza più che per merito. Niente di tutto questo. Attilio Fontana si conferma e addirittura rilancia.
Di fronte al vuoto dell’offerta politica della sinistra, in Lombardia gli elettori hanno preferito i responsabili di 30 anni di disastri
Cosa ci è sfuggito in Lombardia Lambiccarsi sulle alleanze è superficiale e fin troppo facile. Di fronte a un risultato del genere non sono le formule politiche a dover cambiare ma la natura stessa dell’offerta: gli elettori lombardi ritengono il centrodestra, con tutti i suoi limiti, più affidabile del centrosinistra. Perché? Trovare gli errori non è troppo difficile. Siamo di fronte a errori antichi, semplicemente evoluti per stare al passo con i tempi.
Il primo che ciclicamente il centrosinistra riesce a compiere ogni volta – ne sta parlando anche Pierfrancesco Majorino – è che il centrosinistra riesce regolarmente ad arrivare in ritardo a ogni elezione. Ogni volta. Ogni volta si ha la sensazione che si apparecchi una squadra per battere le destre all’ultimo secondo, ottenendo il devastante effetto apparire privi di qualsiasi programmazione. E cosa c’è più di più inaffidabile di un disorganizzato?
In questo giro Majorino è stato designato con soli due mesi di anticipo, dopo una discussione sulla scelta del candidato che non è mai sembrata aperta (“non c’è tempo”, dissero quando cancellarono la possibilità delle primarie di coalizione, come se il tempo sia qualcosa che capiti per caso) e che ha fatto notizia già per i veti che per le adesioni. La scelta poi ogni volta di un candidato “esterno” (pur essendo ottimi candidati, da Umberto Ambrosoli poi Giorgio Gori e ora Majorino) che all’ultimo minuto emergeva da altre esperienze e altre realtà porta con sé un altro messaggio: negli ultimi 5 anni la nostra opposizione non ha formato un leader. L’opposizione, appunto.
Il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle (ma anche i civici e +Europa) hanno fatto un’opposizione che troppo spesso si è ridotta alla lettura ad alta voce in Consiglio regionale degli articoli di giornale sugli sprechi e sugli errori di Fontana e della sua squadra. Il primato della politica da queste parti è sostituito dal primato del giornalismo: i cronisti scoprono un inghippo, l’opposizione lo sventola e qualche volta la magistratura interviene.
Così dall’esterno appare un attacco continuo, dettato da linee editoriali più che dalle linee politiche, a cui quelli resistono. E se resistono, come è accaduto con Fontana, quelli ne escono addirittura più forti. I cittadini lombardi sanno bene che i treni regionali arrivano in ritardo, sono stracolmi e vengono cancellati senza preavviso lasciando i passeggeri a infreddolirsi su binari tristi. Non hanno bisogno di ricevere solidarietà: hanno bisogno di un treno.
I risultati di queste ultime elezioni (e i numeri degli astenuti) ci dicono che i cittadini non hanno capito come il centrosinistra pensi di risolvere il problema. “Mettendoci più soldi”, si sente dire in campagna elettorale. Ma da dove li prendono i soldi? Questo i cittadini non l’hanno capito o non hanno voluto investire tempo per capirlo. Il fatto è che – non si offenda nessuno – da vent’anni l’opposizione in Regione Lombardia appare più come la volontà di sostituire le persone che di proporre nuovi sistemi.
Lo stesso riassetto della sanità con un riequilibrio in favore del pubblico ogni volta è annacquato da candidature come quella di Pregliasco, dirigente della sanità privata punito con un imbarazzante risultato elettorale, e da continui inviti a “non demonizzare” il sistema formigoniano. Non è un caso che le campagne elettorali si giochino sempre in termini di “affidabilità” più che di reale alternativa. Ma sul piano dell’affidabilità – piaccia o no – il centrodestra è una macchina oliata al di là dei personaggi che passano.
Così a quelli basta immolare il Gallera di turno per ripulirsi e continuare allegri. Le elezioni regionali si vincono offrendo alternative meglio ancora se già testate sui territori (e infatti anche in questa tornata sono gli amministratori a ottenere risultati importanti in termini di preferenze) e non agitando santini. Ieri qualcuno sospirava dicendo “ah, se avessimo candidato Cottarelli” dimostrando di essere già pronto per il prossimo errore. Come se ne esce?
Bisogna decidere che la campagna elettorale per le prossime elezioni tra cinque anni inizi ora. A Majorino è chiesto l’improbo compito di far apparire le prossime elezioni come il naturale punto di arrivo di un percorso quinquennale in cui oltre a preoccuparsi dei parenti di Fontana ci si spende per dimostrare che gli ospedali pubblici con i soldi della sanità privata funzionerebbero allo stesso modo garantendo più controllo e maggior rispetto della Costituzione.
Il Movimento 5 Stelle potrebbe scegliere di staccare il proprio cordone ombelicale dal capo partito di turno e di costruirsi una credibilità locale che non dipenda dai testimonial nazionali. Gli altri partiti potrebbero praticare le proprie priorità, così non avrebbero bisogno di spiegarcele solo nelle settimane antecedenti alle elezioni. Fra 5 anni potrebbero dare l’affidabile sensazione di essere pronti, tanto per citare lo slogan di Giorgia Meloni.
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