In Friuli Venezia Giulia, lavorano e danno da lavorare da decenni, facendo affari nei settori dell’industria, del commercio e della ristoriazione, conquistando nicchie di mercato e contribuendo a fare girare l’economia generale.
Peccato che i soldi immessi attraverso le loro attività e quelli guadagnati con quegli stessi investimenti arrivino da e tornino in ambienti malavitosi: quelli della criminalità organizzata da cui provengono e che fa capo a Cosa nostra, ’ndrangheta e Camorra. Mafiosi che nell’estremo Nord-Est d’Italia hanno trovato un’ottima occasione di riciclaggio.
L’ultima realazione del ministero dell’Interno sull’attività svolta dalla Direzione investigativa antimafia nel primo semestre 2016 rappresenta una fotografia eloquente degli appetiti che la nostra regione continua a stimolare. Proprio come rilevato l’altro giorno, a Trieste, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, e come documentato dalle cronache giornalistiche in occasione di ogni operazione investigativa.
Confische nel Pordenonese
«L’ingerenza di Cosa nostra nelle attività produttive del Nord-Est ha trovato un’importante evidenza anche in Friuli Venezia Giulia», si legge nella relazione. E la prima metà dell’anno scorso offre almeno quattro conferme di rilievo. Il 3 febbraio, a Pordenone e Aviano vengono confiscati beni riconducibili all’imprenditore edile palermitano Francesco Pecora, deceduto nel 2011, a 72 anni, e ai suoi eredi, per quasi due milioni di euro.
In cima all’elenco, l’Edilizia Friulana Nord srl. La misura è disposta dal tribunale di Palermo, nell’ambito di un’inchiesta che ha ne chiarito la contiguità con personaggi di spicco, tra cui Antonino Rotolo, e che lo ha indicato come l’interfaccia tra la mafia e l’imprenditoria legale: l’uomo, insomma, incaricato di gestirne i capitali illeciti anche fuori dalla Sicilia.
I Graziano a Udine
Il 19 maggio i riflettori si spostano su Udine. Per il capoluogo friulano è l’ennesimo campanello d’allarme rispetto alla presenza, radicata da anni, della famiglia Graziano.
Questa volta, nel mirino degli investigatori ci sono Domenico, pure deceduto nel 2013, a 76 anni, e suo figlio Camillo, 48 anni, entrambi con casa a Tavagnacco e «imprenditori edili mafiosi»: la Guardia di finanza sequestra beni per un valore complessivo di circa 7 milioni di euro, tra Palermo e l’hinterland udinese, dove gestiscono tra l’altro la Nord Costruzioni srl.
Nel 2010, analogo provvedimento aveva travolto il boss Vincenzo – fratello minore di Domenico -, vicino ai Madonia e ai Galatolo, condannato già due volte per associazione a delinquere di stampo mafioso e tutt’ora in carcere con l’ulteriore accusa di avere fatto parte del commando che avrebbe dovuto eliminare il pm Nino Di Matteo.
Il boss dei Brancaccio
Ed è sempre a Udine che si era trasferito Giovanni Arduino, 54 anni, palermitano organico alla famiglia Brancaccio. Il 9 maggio, colpito da ordine di carcerazione emesso dalla Corte d’appello del capoluogo siciliano tre giorni prima, decide di costituirsi ai carabinieri: dovrà scontare tre anni di reclusione per trasferimento fraudolento di valori, aggravato dal metodo mafioso.
«Sebbene non immediatamente riconducibile a un contesto di tipo mafioso – osserva la relazione –, si registra un certo attivismo di criminali di origine siciliana, inseriti in associazioni per delinquere autoctone dedite ai reati di tipo predatorio o inerenti agli stupefacenti».
L’alleanza con i Casamonica
Non meno affollato il versante calabrese. La mappatura tracciata e costantemente monitorata dal personale della Dia di Trieste segnala «la presenza di elementi organici alla ’ndrangheta innanzitutto con riferimento a ditte operanti nel settore edile, estrattivo, del trasporto conto terzi e dell’industria meccanica».
È in quest’ottica di «silente contaminazione del sistema produttivo regionale» che va letta l’operazione della Polizia che, l’11 maggio, era culminata nel sequestro della Serrmac Sas di Budoia. L’impresa, già sottoposta a procedura fallimentare, risulta di proprietà di un gruppo criminale comprendente esponenti della camorra, della ’ndrangheta e dei Casamonica.
La ’ndrina e le pizzerie
Per non dire di tutto quello che precede e che è seguito al primo semestre 2016. Merito soprattutto del nuovo impulso impresso all’attività investigativa dal procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Trieste, Carlo Mastelloni, dal suo insediamento, nel 2014.
Basti pensare all’iscrizione sul registro degli indagati, per associazione a delinquere di stampo mafioso, di Giuseppe Iona, 51 anni, originario di Belvedere di Spinello e residente a Monfalcone, ritenuto capo di una ’ndrina che, dal 2007, avrebbe controllato un traffico di droga e armi.
E alla non meno complessa inchiesta per presunto riciclaggio che ha investito la catena delle pizzerie Peperino e che la collegherebbe alla Camorra. Dell’altro giorno, infine, il blitz del Ros nei negozi Celio e Jenniyfer del centro commerciale Bennet di Pradamano, di proprietà di una società riconducibile ai Piromalli di Gioia Tauro.
(fonte: Il Messaggero Veneto)