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Intimidire i giornalisti non serve più. Fargli causa è più efficace

Prima era stato il Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti del Ministero dell’Interno, con i propri dati sui minacciati nei primi 9 mesi nel 2022: “sono 84 gli episodi intimidatori commessi in Italia nei primi nove mesi del 2022 contro i cronisti, rispetto ai 162 registrati nello stesso periodo del 2021, con una flessione del 48%”, si legge nel rapporto.

Dai dati del Ministero emerge che per l’88% dei casi “le vittime sono 74 professionisti dell’informazione, tra i quali 21 donne (28%) e 53 uomini (72%). Il 19% delle segnalazioni totali è relativo ad episodi intimidatori perpetrati nei confronti di sedi giornalistiche o di troupe non meglio specificate”. Le regioni più colpite sono “Lazio, Lombardia, Campania, Calabria e Toscana, con 57 episodi complessivi, pari al 68% del totale”.

I dati di Ossigeno per l’informazione: Calano le minacce contro i giornalisti ma aumentano le querele e le azioni civili

Ma i nuovi dati pubblicati da Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio non governativo sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza, fotografano una situazione ben più grave. Ossigeno tiene conto infatti anche delle querele e della cause per diffamazione promosse in modo temerario e strumentale, in violazione del diritto di informazione codificato dall’Articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Solo nei primi 9 mesi sono 173 gli episodi di intimidazioni e minacce nei confronti di 564 operatori di media (giornalisti, blogger, videoperatori), di cui il 29% è costituito da donne, colpite per il 36% da minacce gender based.

Questi dati di Ossigeno mettono in evidenza una crescita delle minacce rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: fra gennaio e settembre 2021 Ossigeno aveva infatti rilevato 288 minacciati, esattamente la metà di quest’anno.

L’osservatorio di Ossigeno per l’informazione che ha verificato 84 episodi su 173 rileva per il 57% degli attacchi una forma di “avvertimento”, nel 35% l’abuso di denunce e azioni legali e nell’8% dei casi vere aggressioni. Anche un’osservazione della matrice degli attacchi riserva sorprese.

Se è vero che nel 16% dei casi si tratta di segnali provenienti da ambienti criminali o mafiosi nel 18% (quindi con una percentuale superiore) gli attacchi provengono da autorità, enti pubblici e politici. Nel 54% dei casi sono persone o associazioni ad accanirsi contro i giornalisti, nel 6% i mittenti sono imprese e imprenditori privati. Tra le regioni svetta il 19% della Lombardia seguita da Toscana (17%), Lazio (14%), Piemonte (11%) e Puglia al 9%.

Aumentano le minacce ma diminuiscono le denunce. “ Perché? Hanno meno fiducia negli interventi delle autorità, o sono più rassegnati o semplicemente hanno più paura di prima e perciò subiscono più spesso senza reagire? Questo aspetto sarà oggetto di approfondimento. Certamente – scrive Ossigeno per l’informazione – però si può dire che la diminuzione delle minacce registrate dal Viminale non è una buona notizia, non è un segnale rassicurante. È anzi un ulteriore segnale di allarme”.

Un dato è certo: oggi per silenziare un giornalista basta avere i soldi per intentare una causa temeraria. Funziona molto più delle minacce fisiche, fa meno rumore e consente di sfruttare uno spazio legislativo che il mondo del giornalismo, le forze politiche, il Parlamento e il Governo sembrano non voler riequilibrare con le opportune contromisure.

Non serve più nemmeno la manodopera criminale, sono i colletti bianchi (e i loro avvocati) a poter indebolire la libertà di informazione. In attesa di stupirsi, come accade tutti gli anni, della posizione nelle retrovie dell’Italia nelle classifiche della libertà di stampa.

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