Il ragazzo è piccolo di statura e si è seduto nell’ultimo banco, in fondo all’aula. Appena entro (è una prima, sono tutti un po’ spaventati, è la primissima ora del primissimo giorno, nessuno si alza, pochissimi mi salutano), appena entro so già che tra qualche giorno dovrò spostarlo in avanti: è troppo piccolo per quel posto. Ma ha lo sguardo attento e vivace. Io dico: «Be’, ragazzi, non ci conosciamo, io mi presento, mi chiamo così, vivo in quest’altro paese, vi insegnerò latino per un paio di anni» e aggiungo altre cose (troppe altre cose, ora che ci penso). Poi li chiamo per nome, uno a uno; chiedo loro di dirmi almeno dove abitano, loro eseguono, imbarazzati. Mi dicono «io sono di questo paese qui», «io abito in quest’altro paese qui», «io abito in questo paese a 10 chilometri di distanza dalla scuola». Chiedo loro anche come arrivano a scuola; loro mi dicono in pullman, qualcuno in treno, altri in battello o accompagnati in auto dal padre o dalla madre. Quando arriva il turno del piccolo ragazzino seduto in fondo, uno degli ultimi dell’elenco, mi dice: «Io abito a Palermo». Poesia geografica su Sempre un po’ a disagio, da leggere fino in fondo.