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La balla dell’emergenza sbarchi. I numeri affossano la propaganda delle destre

A riportare la discussione sulle migrazioni nei binari delle giuste proporzioni è stato ieri Flavio di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) nel decimo anniversario della strage di Lampedusa: “Non c’è nessuna emergenza, i numeri sono gestibili”. Forse bisognerebbe partire da qui per ricostruire un dibattito scevro da populismi xenofobi e da confusioni. “La politica continua a raccontare come fosse un’emergenza un fenomeno strutturale”, ha spiegato di Giacomo ieri in occasione del decimo anniversario della strage di Lampedusa, costata la vita a 368 persone morte nel naufragio del barcone su cui viaggiavano a poche miglia dalle coste dell’isola.

Flavio di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim): “Non c’è nessuna emergenza, i numeri sono gestibili”

“Quest’anno sono arrivate 130mila persone, un numero che l’Italia ha già sperimentato nel 2015-2016, un numero non altissimo se pensiamo al milione quasi arrivato in Grecia nel 2015. Numeri gestibili. Solo che nel 2016 le persone venivano salvate in mare e portate nei porti siciliani. Solo l’8 per cento arrivava a Lampedusa. Quest’anno, invece, in mancanza dello stesso sistema di soccorso chi parte dalla Libia e dalla Tunisia arriva direttamente a Lampedusa. Ci troviamo di fronte a quella che non è un’emergenza numerica, né per l’Italia né per l’Europa, ma a un’emergenza operativa e logistica per Lampedusa, e a un’emergenza umanitaria per il numero di morti in mare”.

Per il portavoce dell’Oim “da dieci anni siamo qui a dire le stesse cose”: “nel 2013 di fronte alle 368 bare i politici di tutto il mondo vennero a Lampedusa per dire ‘mai più morti in mare’. A distanza di 10 anni abbiamo 28mila vittime in tutto il Mediterraneo, 23mila circa in quello centrale e quest’anno oltre 2.093 nel Mediterraneo centrale”, aggiunge, ricordando come all’indomani della strage di Lampedusa nacque “l’operazione Mare nostrum che salvò oltre 150mila vite nel 2014”.

Dal 2016-17 – ricorda di Giacomo – le cose iniziarono a cambiare. Sono intervenute le ong che hanno colmato il vuoto lasciato dagli Stati, ma nel tempo hanno iniziato a essere ostacolate. Il salvataggio in mare, che prima era una priorità assoluta anche per chi era contrario ai flussi migratori, improvvisamente è iniziato a essere un po’ meno una priorità per l’Europa”. Di Giacomo punta il dito su “un sistema di soccorso ampiamente sufficiente” sottolineando come occorra “un sistema di pattugliamento europeo che salvi le persone e le porti in un porto sicuro.

Invece, in questi ultimi anni chi parte dalla Libia e viene intercettato in mare dalla Guardia costiera libica è riportato indietro in centri di detenzione, le cui condizioni inumane sono note a tutti”. Per il portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni “la politica non ha saputo raccontare il fenomeno migratorio. Si parla sempre di flussi via mare, ma la migrazione è molto di più. Sono i 5 milioni di migranti che vivono regolarmente in Italia e contribuiscono al 9 per cento del Pil, è una risorsa enorme”.

Per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni le soluzioni sono l’apertura di canali regolari, salvare le vite in mare e cominciare a pensare alla migrazione come un fenomeno fondamentale per la nostra società. “L’Europa ha una crisi demografica enorme, – spiega di Giacomo – tra 20-30 anni in Italia e in Ue ci saranno quasi più persone in pensione che in età lavorativa. E’ evidente che abbiamo bisogno di immigrazione. I governi dovrebbero prendersi carico di una gestione lungimirante del fenomeno nel lungo termine, una gestione che guardi ai prossimi 15-20 anni. Bisogna cambiare la narrazione e le politiche per gestire un fenomeno da trattare come una risorsa”.

Che non ci sia nessuna “invasione” lo ripete da tempo anche l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) che conta quasi un milione di persone sbarcate in Italia negli ultimi dieci anni a fronte di una popolazione straniera italiana che non cresce. Anche i “nuovi italiani” (fino a 10 anni dall’acquisizione della cittadinanza, che già richiede in media più di 10 anni per essere ottenuta) negli ultimi due anni si sono assestati sugli stessi numeri. In Germania – per avere un’idea delle proporzioni – la popolazione nata all’estero è aumentata di 5 milioni dal 2015 al 2021 secondo Eurostat.

Nello stesso periodo in Italia l’aumento è di nemmeno mezzo milione. Anche l’impatto economico dell’invasione che non esiste è ben diverso dalle stime allarmistiche agitate dal governo: Un milione di persone in dieci anni sono 100mila l’anno. Lo 0,2% della popolazione italiana. Il costo di gestione di 100mila persone è di 1,3 miliardi di euro l’anno, ovvero lo 0,1% della spesa pubblica italiana. Soldi che, tra le altre cose, arrivano dall’Unione europea e non possono essere usati per altri capitoli di bilancio.

A metà maggio di quest’anno secondo le stime dell’agenzia Onu per i i rifugiati in Europa c’erano 8,2 milioni di profughi ucraini, scappati dalla guerra provocata dall’invasione russa. Circa 5 milioni hanno ricevuto la protezione temporanea, una forma di asilo che negli ultimi 20 anni non era mai stata implementata per altre categorie di profughi.L’Italia ha inoltre avviato un modello di accoglienza del tutto nuovo, basato sul ricorso alla pratica dell’accoglienza diffusa e al contributo di sostentamento. Il secondo ha funzionato meglio della prima e pertanto il sistema ha sicuramente dei margini di miglioramento. Forse il problema di questi banalmente è che sono neri.

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