Ergastolo senza appello. L’imprenditore e filantropo turco Osman Kavala diventa il simbolo dell’accanimento giudiziario del suo presidente Recep Tayyip Erdoğancontro chiunque provi in Turchia a incarnare il pensiero di una società civile e indipendente. Ma la condanna di Kavala e degli altri sette imputati (condannati a diciotto anni di prigione ciascuno) è soprattutto l’ennesima sfida di Erdoğan contro i suoi stessi partner occidentali che da anni chiedono il proscioglimento di Kavala. Tra i condannati, oltre a Kavala, ci sono un regista, uno studente universitario, un fondatore di una Ong e un architetto. Basta questo per capire che il pensiero in Turchia diventa una colpa quando decide di non allinearsi al potere.
LA RIVOLTA DI GEZI PARK – Tutto comincia con la rivolta dei giovani di Istanbul al parco Gezi nel 2013, quando una cinquantina di manifestanti cominciarono ad accampare per impedire l’apertura di un cantiere che avrebbe determinato la distruzione del parco e furono la miccia per una protesta che si è diffusa in tutto il Paese mettendo insieme anarchici, socialisti, sindacati, curdi e turchi, movimenti lgbt, ultrà di opposte tifoserie e persone fino ad allora rimaste lontane dalla politica. A Istanbul e nel resto della Turchia le proteste di piazza si evolvono in decine di forum di discussione dove i cittadini si ritrovano quotidianamente a parlare di politica, a livello locale e nazionale. E molti parchi sono divenuti Gezi. La repressione di Erdoğan fu durissima, utilizzando una smodata violenza e coinvolgendo anche mezzi armati dell’esercito. Il bilancio fu di 11 morti e oltre 8.163 feriti, rendendolo uno degli avvenimenti più drammatici della storia della Turchia moderna.
UN PROCESSO KAFKIANO – Il 18 ottobre del 2017 Osman Kavala è stato arrestato all’aeroporto Atatürk di Istanbul con l’accusa di aver voluto, in occasione delle proteste del 2013, “rovesciare il governo turco con la violenza ”. Gli vengono contestati l’articolo 309 e l’articolo 312 del codice penale turco e Kavala inizia così una lunghissima detenzione che dura più di mille giorni senza nemmeno una condanna. “Fare gravi accuse senza cercare prove concrete, cercare prove dopo gli arresti e prolungare la durata della detenzione sono diventate pratiche standard per la magistratura turca”, scrisse Kavala in un suo editoriale per il New York Times l’11 ottobre del 2019, “la mia cella di prigione solitaria, lontana dal trambusto di telefoni cellulari ed e-mail, è un buon posto per leggere, scrivere e pensare. Sogno nuovi progetti su cui lavorare con i miei colleghi di Anadolu Kultur, la nostra organizzazione, che cerca di promuovere la comprensione reciproca e la convivenza pacifica. La mia esperienza kafkiana degli ultimi due anni mi ha insegnato ad apprezzare meglio l’importanza di una magistratura indipendente, che operi nel pieno rispetto delle norme universali di giustizia”.
ASSOLUZIONE E NUOVO ARRESTO – Il 18 febbraio, inaspettatamente, per Kavala arriva l’assoluzione dal tribunale turco. In molti pensano che il verdetto sia un segnale distensivo del governo di Erdoğan nei confronti delle molte associazioni e organizzazioni che ne chiedevano il rilascio e nei confronti dei Paesi che contestavano la disumanità della misura. Si sbagliavano: poche ore dopo il pubblico ministero di Instanbul ne chiede un nuovo arresto, con accuse ancora più gravi e Kavala viene trasferito dalla prigione al quartiere generale della polizia.
ATTIVISTA ONG E DIRITTI UMANI – Quell’uomo mite che ha dedicato tutta la vita all’editoria, all’associazionismo e ai diritti umani, non perse la sua compostezza. «Io sarei furioso ma lui non ha mai alzato la voce nemmeno un volta», disse Murat Celikkan, giornalista e amico di Kavala. Nato da una famiglia di commercianti di tabacco, Kavala ha diversificato l’attività di famiglia fondando case editrici che sono diventate importanti veicoli di idee democratiche che in Turchia erano state messe in discussione dopo il colpo di Stato del 1980. Per il suo interesse alle questioni ambientali e diritti civili ha abbandonato un suo complesso alberghiero nel sud della Turchia dopo aver appreso che la spiaggia era un’importante sito di nidificazione per la Turchia. Ha co-fondato una delle più importanti organizzazioni ambientali, TEMA, e ha aperto diversi centri d’arte che ospitano mostre, conferenze, proiezioni e workshop.
CHI DISSENTE NON È GRADITO – Per Kavala si è mossa la Corte europa dei diritti dell’uomo (il 10 marzo del 2020) che in una sentenza affermava che non vi erano prove sufficienti delle accuse contro Kavala e che “l’atteggiamento dell’accusa poteva essere considerato tale da confermare l’affermazione del ricorrente secondo cui le misure prese contro di lui perseguivano un ulteriore scopo, vale a dire ridurlo al silenzio come un attivista delle ONG e difensore dei diritti umani, per dissuadere altre persone dall’intraprendere tali attività e per paralizzare la società civile nel Paese”. Per Kavala si sono mossi il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, la Commissione Internazionale dei giuristi, Human Rights Watch: nel settembre 2021, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha dato alla Turchia tempo fino al dicembre 2021 per rilasciare Kavala prima di iniziare una procedura di infrazione contro la Turchia. Nell’ottobre dell’anno scorso dieci ambasciate (Stati Uniti, Germania, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia) ne hanno richiesto la liberazione ottenendo come risposta una dichiarazione di Erdogan in cui definì gli ambasciatori “persone non gradite” nel territorio turco.
LO SCHIAFFO DI ERDOGAN – Ora la parodia della giustizia raggiunge il suo apice: dopo 4 anni e mezzo di detenzione il tribunale penale ha condannato Osman Kavala all’ergastolo. L’unica flebile speranza rimangono le decisioni delle corti d’appello. Ma la condanna di Kavala è anche l’ennesimo schiaffo di Erdoğan all’Occidente di cui formalmente fa parte nell’Unione Europea e nella NATO. La dittatura non perdona l’umanità, ora sarebbe da capire perché noi ci ostiniamo a perdonare alcune dittature quando ci tornano utili.
(da OGGI)