Diceva Enrico Berlinguer che il Primo maggio fosse l’unica festa civile capace di spingere gli uomini “a uscire dai loro tenaci particolarismi” per “rinnovare l’impegno di fare del lavoro il fondamento della dignità umana, la pietra di paragone di una reale giustizia, la condizione per una libertà vera, che è liberazione dal bisogno, dallo sfruttamento, dall’oppressione”.
Qualche decennio dopo Berlinguer è stato usato come clava alla kermesse di Fratelli d’Italia. La seconda carica dello Stato, Ignazio Maria Benito La Russa, ha strumentalizzato un applauso dedicato all’ex segretario del Pci mentre poco prima la sua capa Giorgia Meloni sventolava ancora il fantasma del comunismo. Il lavoro come fondamento della dignità umana si è spento di fronte ai numeri impietosi dell’Italia come ultimo Paese in Europa, dove i salari negli anni sono scesi mentre tutto intorno aumentavano. Il lavoro come pietra di paragone di una reale giustizia invece sta sotto un lenzuolo bianco insieme ai morti di lavoro che rimangono impuniti.
Nel loro caso la giustizia si impiglia nella catena di appalti e subappalti che tesse un tela mortale. Il lavoro come condizione per una libertà vera che è liberazione del bisogno è stato tradito dalla precarizzazione. Una libertà precaria o a tempo determinato non è libertà. È un respiro per trovare appena le forze per trascinarsi fino al prossimo tonfo, la prossima crisi aziendale, la prossima cassa integrazione (vera o fittizia). La liberazione dello sfruttamento invece riposa in pace con la bocciatura del salario minimo che avrebbe segnato il limite dell’indecenza.
Con i primi soli cominceranno a seccarsi nei campi i lavoratori per qualche spicciolo all’ora, ricominceranno le lagne degli imprenditori che lamentano la mancata inclinazione allo schiavismo di questa o di quella generazione. Il senso del lavoro in questo primo maggio 2024 sta in quei sette bonus decisi dal governo e nella mancetta da 100 euro che arriverà l’anno prossimo ma è stata annunciata in tempo per la prossima corsa elettorale. Il lavoro come concessione, quel che basta, e se fai il bravo una carota come premio. Al massimo l’ottavo bonus sarà un bel funerale pagato dallo Stato.
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