Annichiliscono tutto il resto le lacrime della violinista durante l’ultimo concerto dell’orchestra sinfonica della televisione pubblica greca che chiude travolta dalla crisi. Dentro quelle lacrime c’è la sconfitta di una nazione che chiude il servizio pubblico (anzi, soprattutto: l’informazione pubblica) come scalpo di una crisi che è stata masticata dalla finanza europea, rigurgitata dagli economisti d’eccezione e poi risputata sui violini. Forse starò invecchiando io ma la differenza tra i grafici macroeconomici della Merkel & co. e l’inoffensiva disperazione di quel timido violino mi traccia la distanza tra la politica e la polis: l’incapacità di sentire e e farsi carico del dolore.
Ogni mattina, qui a Roma, c’è un anziano signore che all’ora del caffè arriva con passo lento ma certo nel bar, apre il frigorifero dei gelati e ci entra tutto fino alla spalla per prendere una bottiglia di latte commentando il rincaro di qualche centesimo e il caldo che prima non arrivava e ora è arrivato troppo presto. Poi stringe la borsa arricchita dal latte e ripercorre al contrario la sua strada come in un lunghissimo ralenti fino alla mattina successiva. Non si lamenta, l’anziano signore, non ha drammi visibili oltre a quella sua dignità che si sforza di rimanere a galla con tutta l’eleganza antica con cui si può combattere per i centesimi che servono per il latte che forse sarà per la sua moglie che non può uscire con questo caldo o per il nipote che ha appena accompagnato a scuola.
Guardando le lacrime della violinista greca e del suo violino mi è tornato in mente lui, il signore del latte, e quanto la dignità sia internazionale anche senza bisogno di lingue. E questa Europa che è comune nella disperazione e non riesce ad accordarsi su una speranza credibile. Nemmeno con i violini.