Sarebbe una notizia di poco conto in un Paese in cui la politica si occupa di politica e solo dopo di comunicarla ma l’addio di Luca Morisi a Matteo Salvini è qualcosa che ha molto a che fare con i numeri, con la linea politica e con i voti. Come già successo con Casaleggio e il Movimento 5 Stelle (e prima ancora tra Casaleggio e l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro) lo staff della comunicazione è diventato il cuore pulsante dei partiti. Basta con questa stancante litania dei circoli, basta con la burocrazia delle assemblee: molti hanno pensato che avere le password dei social fosse il modo migliore (se non l’unico) per lavorare alla costruzione dell’identità di un partito e del suo leader e non è un caso che in molti casi tutto si possa comprimere in pochi caratteri.
Il ruolo di Morisi nella crescita di Salvini e della Lega
Eppure Morisi (come Casaleggio) ha dimostrato che a differenza di molti altri casi è possibile capitalizzare il seguito sui social in infornata di voti. I numeri sono impietosi: dal 2015 l’algoritmo governato da Morisi ha portato Salvini dai suoi 18 mila seguaci iniziali sui social a 4 milioni e mezzo di fans. Quando Morisi è approdato alla corte della Lega il partito era al 4 per cento ed è arrivato a toccare il 34,3 alle Europee del 2019. Un leghista della prima ora, sconosciuto consigliere provinciale dal 1993 al 1997, che ha tenuto in tasca la ricetta della pozione pubblicando il Capitano (soprannome coniato dallo stesso entusiastico Morisi) Salvini mentre addentava pane e nutella, che ha infervorato lo scontro deridendo i “sinistri”, che ha pasteggiato allegramente sulla xenofobia riuscendo addirittura a travestirla da legalità, che ha soffiato sulla “sicurezza” imbellettando la vendetta, che ha partorito l’idea del concorso Vinci Salvini e che ha banalizzato la politica a colpi di “invasioni” e di “risorse boldriniane”. Il tutto ovviamente condito da ingenti risorse: nel momento più alto lo staff della Bestia (che frugava tutti i giorni tra la spazzatura della cronaca nera per menare fendenti) contava circa 20 persone, uno stipendio di tutto rispetto per Morisi (65 mila euro all’anno) e per il suo socio Paganella (85 mila) mentre solo su Facebook solo negli ultimi due anni la Bestia spendeva 400 mila euro per dogare la viralità di un leader in evidente discesa. È molto più di un simbolo anche il fatto che la sede della Bestia fosse in via delle Botteghe Oscure a Roma, sede del sindacato Ugl (quello che teneva in mano l’ex sottosegretario Durigon) nonché storico indirizzo del Partito Comunista Italiano.
Morisi e il suo peso politico nella Lega
Le voci sull’addio si rincorrono e sono diverse ma basta ascoltarle per trarre una conclusione: c’è chi dice che Morisi abbia mollato perché, dice un esponete vicino a Salvini a Repubblica, «essendo una persona estremamente intelligente e sensibile Morisi ha capito che un ciclo era finito. E ne ha tratto le conseguenze», la stampa riporta una chat del Carroccio dove si scriveva che Matteo Salvini «viene consigliato male» rincorrendo Giorgia Meloni e non «la costruzione di un grande partito di centrodestra e mettendo in pericolo l’attrattiva del Carroccio presso il voto dei moderati. Per questo Morisi se ne è andato», Il Fatto Quotidiano parla di un’insofferenza di Morisi che sarebbe stato «sempre convintamente pro vaccini». Quasi tutti insomma riconoscono a Morisi e al suo staff un ruolo talmente politico da potersi permettere di essere in disaccordo con la linea del partito. Non è una buona notizia per i poveretti che nella Lega invece si tesserano illudendosi di avere così una voce in capitolo, se ci pensate. E non è nemmeno un buon sintomo per la politica.
L’addio di Morisi lascia sempre più solo Salvini
Per questo risuonano ancora più importanti le parole del presidente della Regione Veneto Luca Zaia che chiede di «tornare a parlare con le imprese e con la gente, ascoltare le loro paure, e seguire meno il sentiment dei social». Se, come credono alcuni deputati leghisti, il problema di Morisi sia stato quello di non essere riuscito a «convincere Salvini di adeguarsi al governismo» significa che un comunicatore ha avuto un’enorme idea di sé e del proprio potere all’interno di un partito politico. Anche questa non è una grande notizia, no.
Di certo Salvini da quella maledetta estate in cui ha fatto cadere il governo Conte I pensando (male) di potersene impossessare ha iniziato un declino che tra abbandoni di deputati e discesa nei sondaggi ha tutta l’aria di essere un dissanguamento difficilmente arrestabile. Sullo sfondo rimangono i nemici interni (a partire da Giorgetti e lo stesso Luca Zaia) che assistono con goduria lo sgretolamento. Morisi annuncia il suo addio nel pieno di una campagna per le amministrative che è tutt’altro che un trionfo. E prima o poi arriverà il tempo di un congresso (che in molti già dentro la Lega stanno chiedendo) e lì non basterà indovinare un tweet. Ancora di più senza Morisi. Poi magari un giorno rifletteremo su questo tempo in cui un Morisi (“non eletto da nessuno”, come piace dire proprio ai leghisti) si abbatte come una tempesta su un partito. Chi di Morisi ferisce di Morisi perisce.
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