Si sviluppa lungo l’asse Italia-Ungheria, con ramificazioni in altri Paesi come Francia, Danimarca e Cipro, l’operazione condotta dal Ros contro un’imponente attività di riciclaggio internazionale di proventi illeciti gestita dalla ‘ndrangheta, ed in particolare dalla cosca Bonavota, che ha la sua base operativa a Sant’Onofrio, nel Vibonese. L’operazione, coordinata dalla Procura antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, ha portato all’arresto di otto persone in esecuzione di altrettante ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip distrettuale del capoluogo calabrese.
Ad altre tre persone coinvolte nell’inchiesta é stata notificata la misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali. o uffici direttivi di persone giuridiche Un’inchiesta considerata di particolare importanza perché ha consentito di stroncare una delle attività in cui la ‘ndrangheta eccelle da sempre, e cioè il riciclaggio delle somme enormi che le cosche ricavano principalmente dal traffico internazionale di cocaina ed eroina e da altre attività criminali come le estorsioni. Due le persone, entrambe arrestate, attorno all’attività delle quali ruotava l’organizzazione criminale che é stata sgominata. Una è Giovanni Barone, di 53 anni, nato a Roma ma residente a Milano, già coinvolto in altre inchieste contro la ‘ndrangheta come “Rinascita Scott”, condotta nel 2019 dalla stessa Dda di Catanzaro e di cui l’operazione odierna costituisce una sorta di prosecuzione; “Tenacia” di Milano e “Tramonto” di Genova. Barone, tra l’altro, si sarebbe reso responsabile, secondo l’accusa, di numerose truffe e di imponenti attività di riciclaggio. L’altro personaggio importante di questa inchiesta è un’avvocatessa ungherese, Edina Margit Szilagyi, di 57 anni, titolare di un avviato studio a Budapest che sarebbe stato il fulcro di varie attività di riciclaggio. L’indagine si é sviluppata in un contesto articolato di cooperazione internazionale di polizia con il coordinamento di Eurojust, l’unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea.
“Abbiamo sempre detto – ha affermato, in conferenza stampa, il Procuratore Gratteri – che la ‘ndrangheta non è in grado di fare riciclaggio sofisticato e che, per questo, si deve rivolgere al mondo delle professioni. Ed i risultati di questa operazione ne rappresentano l’esempio classico. Siamo riusciti a dimostrarlo grazie alla nostra credibilità anche a livello internazionale e grazie all’aiuto di Eurojust. È stato possibile così effettuare intercettazioni ambientali in Ungheria”. Gratteri ha citato inoltre un particolare dell’inchiesta che gli ha dato lo spunto per criticare ancora una volta la riforma della Giustizia varata dall’ex ministro Cartabia. “Nel corso di questa indagine – ha detto il Procuratore – non abbiamo potuto contestare, purtroppo, una truffa aggravata per oltre tre milioni di euro perché, per effetto della riforma Cartabia, occorreva la querela della parte offesa, che non siamo riusciti però a rintracciare. Si tratta di un viceministro dell’Oman, Paese che non fa parte, ovviamente, del trattato di Schengen. Non c’è neppure un trattato bilaterale tra Italia ed Oman e fare la rogatoria internazionale per chiedere alla parte danneggiata se volesse fare querela, ci avrebbe fatto perdere molto tempo. Per questo motivo non abbiamo potuto chiedere la custodia cautelare per la truffa”.