La nuova Politica Agricola Comune dell’Unione europea (Pac), quella che doveva essere “più verde”, è in realtà poco più di un’operazione di facciata. A dirlo non sono gli ambientalisti o i soliti guastafeste ma la Corte dei conti europea in una relazione che fa a pezzi i piani nazionali della Pac 2023-2027.
Il rapporto è impietoso: nonostante le roboanti dichiarazioni di intenti, i piani degli Stati membri “non sono all’altezza delle ambizioni dell’Ue in materia di clima e ambiente”. In altre parole, la montagna ha partorito il topolino.
La Corte non usa mezzi termini nel bocciare l’approccio degli Stati: “Nel complesso, i piani approvati sono più ecologici, ma non in modo significativo”. Una frase che suona come una sentenza di condanna per chi aveva promesso una svolta verde nella politica agricola europea.
Scappatoie e bluff: la Pac verde si sgretola
Ma vediamo nel dettaglio cosa non ha funzionato. Innanzitutto, gli Stati hanno fatto ampio uso delle scappatoie concesse dal regolamento. La Corte rileva che “tutti gli Stati membri si sono avvalsi delle disposizioni del regolamento sui piani strategici della Pac per ridurre l’applicabilità di alcuni obblighi o per ritardarne l’applicazione”. Un esempio? Ben 16 paesi hanno rinviato al 2024 o 2025 l’obbligo di proteggere le torbiere e le zone umide, fondamentali per l’assorbimento di CO2.
Non solo. I famosi “regimi ecologici”, il fiore all’occhiello della nuova PAC, si sono rivelati in molti casi un bluff. In Irlanda e Francia, nota la Corte, “i regimi ecologici costituivano per lo più un proseguimento di pratiche agricole verdi esistenti”. Tradotto: soldi pubblici per continuare a fare quello che si faceva già.
Ma il problema più grave è un altro: l’assenza di obiettivi chiari e misurabili. La Corte è lapidaria: “La Commissione non ha potuto misurare la portata del contributo dei piani al conseguimento degli obiettivi del Green Deal”. In pratica, non sappiamo se e quanto questi piani contribuiranno davvero agli obiettivi climatici dell’Ue.
E non finisce qui. La relazione sottolinea che “il conseguimento dei valori-obiettivo del Green Deal dipende in larga misura da azioni esterne alla Pac”. Come dire: la politica agricola, da sola, non basta nemmeno lontanamente a centrare gli obiettivi ambientali. Persino l’unico target quantificabile, quello sull’agricoltura biologica, sembra irraggiungibile. La Corte osserva che “l’obiettivo del Green Deal di destinare il 25% dei terreni all’agricoltura biologica entro il 2030 sembra piuttosto difficile da conseguire”.
Politica agricola Ue, un monitoraggio inefficace e requisiti annacquati
Il colpo di grazia arriva quando si parla di monitoraggio e valutazione. Il nuovo sistema, secondo la Corte, “è privo di elementi chiave per valutare la performance verde della PAC”. Gli indicatori sono vaghi e spesso misurano solo le “realizzazioni” (quanti ettari, quanti animali) e non i risultati effettivi in termini ambientali.
Come se non bastasse, in risposta alle proteste degli agricoltori, l’Ue ha ulteriormente annacquato i già blandi requisiti ambientali. La Corte nota che “se da un lato tali modifiche rendono più facile per gli agricoltori soddisfare i requisiti di condizionalità, dall’altro generano minori benefici ambientali e climatici”.
Insomma, un fallimento su tutta la linea. La tanto sbandierata Pac verde si rivela poco più di un’operazione di greenwashing, con obiettivi vaghi, controlli insufficienti e troppe scappatoie per gli Stati membri. La Corte chiude con alcune raccomandazioni, tra cui “promuovere gli scambi di buone pratiche verdi nei piani” e “rafforzare il futuro quadro di monitoraggio della Pac per il clima e l’ambiente”. Ma suona quasi come un’utopia, visto il quadro desolante emerso dall’analisi.
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