da la Repubblica, 30 novembre 2018
L’uomo è annegato chissà dove ed è stato trascinato dalle correnti per chissà quante miglia prima d’impigliarsi tra gli scogli di DF, un paesino arroccato su una costa italiana. Il cadavere non è del nostro mondo. E per fortuna!
Così l’indagine si chiude in fretta, l’orrore dura il tempo di un verbale trasmesso al giudice, riverbera per qualche giorno nelle voci soffiate agli angoli delle strade e nelle pagine della cronaca locale. In fondo non ci riguarda, è solo uno straniero da seppellire senza nome, con un numero e un gesto di pietà cristiana.
Ma se quel cadavere non fosse il solo? Se dopo di lui ne arrivassero altri? Se all’improvviso il mare iniziasse a vomitare cadaveri? Giulio Cavalli, scrittore e attore teatrale che per lo sguardo affilato sulla realtà e l’impegno nella lotta alle mafie vive sotto scorta, nel romanzo Carnaio cammina su un confine sottile: da una parte il presente fatto di naufragi senza testimoni e vittime da ignorare, dall’altro un futuro prossimo in cui il mare riversa sulle nostre spiagge (e sulle nostre coscienze) i cadaveri che ha inghiottito. Ma lo fa spingendo fino al paradosso un dato di realtà: i corpi che il Mediterraneo inghiotte o restituisce, ai nostri occhi sono tutti uguali.
Nel romanzo lo sono ancora di più: giovani, maschi, neri, di identica altezza e peso, una generazione di cloni che a detta del medico di DF «hanno sviluppato gli stessi muscoli e le stesse magrezze e gli stessi nervi e gli stessi tendini come se avessero salito nella vita lo stesso numero di gradini, come se avessero nella vita ingurgitato le stesse porzioni di liquidi identici anche nella razione giornaliera, come se avessero avuto le stesse febbri con gli stessi tempi di guarigione, con le stesse complicazioni e con la stessa cura che li aveva portati alla stessa risoluzione».
Una montagna di cadaveri da gestire e seppellire mentre volano gli elicotteri dell’esercito e le strade si riempiono delle telecamere delle televisioni di tutto il mondo. Ondate di corpi che arrivano e spazzano via la normalità, abbattendo alberi e muri, entrando nelle case e stravolgendo le esistenze. È una emergenza che vuole soluzioni immediate, scaffali dove impilare i cadaveri, e a lungo termine una fabbrica per trasformare quei corpi in profitto.
Carne e soldi, sistemi di difesa trasformati in prigioni. Gli abitanti di DF, con un meccanismo simile a quello degli internati di Saramago nel manicomio di Cecità, azzerano le condizioni sociali precedenti precipitando in una dittatura gelida e asfissiante. Sono tutti complici e che nessuno, osservando l’onda di morti, nutra dei dubbi! Non è possibile, è sbagliato, anzi pericoloso: qualsiasi residuo di umanità deve essere spento, i cadaveri non vanno considerati uomini, appartengono a un altro mondo. Non sono i nostri e vanno ignorati o sfruttati.
La storia precipita, il finale si avvicina e il lettore è trascinato in un incubo sempre più terrificante perché accompagnato dalla sensazione che il futuro sia già cominciato.