Alcune donne si nascondono in un camion per provare a superare le frontiere blindate dell’Unione europea. All’interno del rimorchio speravano di passare la frontiera francese, a Ventimiglia.
L’autista se ne accorge, comincia a urlare intimandogli di scendere, poi con qualcosa che sembra una cintura, sicuramente con una parte in metallo, comincia a frustarle. Le donne chiedono di smetterla.
Sono immagini del 15 luglio e il video fa il giro dei siti d’informazione. Parte il fremito dello sdegno a poco prezzo. Eppure le scene di violenza a Ventimiglia sono all’ordine del giorno, anche se non vengono riprese quasi mai e quasi mai meritano di entrare nel rullo delle agenzie e in pagine sui giornali.
Basterebbe ascoltare le associazioni che lavorano al confine francese, l’Arci di Imperia, la Caritas, Associazione Popoli in Arte, Associazione Martina Rossi, Casa dei Circoli Culture e Popoli Ceriale, Pays de Fayence Solidaire. Volontari italiani e francesi sul confine di Tenda e Ventimiglia dicono da tempo che quel confine sta scoppiando.
Ed è così su tutti i confini, italiani e europei. La violenza ai bordi interessa il Mediterraneo, la rotta balcanica, quasi tutti i confini interni. La notizia di ieri non è una notizia: l’Unione europea ha esternalizzato le frontiere e nel frattempo ha indurito le violenze interne. Ogni metro di chi prova a salvarsi deve essere una lezione per lui ma soprattutto un monito per tutti gli altri.
La violenza è un metodo, non è un autotrasportatore con la cinghia in mano.
Buon martedì.