Ci si accorge che è iniziata la campagna elettorale perché con molta scioltezza si possono pronunciare mastodontiche sciocchezze riuscendo a restare seri e ambendo a essere riconosciuti come i più seri del gruppo. Dalle parti del centrosinistra qualche astuto stratega deve avere pensato che visto il tempo ridotto di campagna elettorale da qui al 25 settembre convenga impostare come leitmotiv di queste settimane il lutto per la caduta di Draghi e il suo logo come mantello di credibilità. Così già nella giornata di ieri abbiamo potuto ascoltare “l’agenda Draghi” come bussola dell’agire politico, questa è la promessa buttata come amo agli elettori ancora storditi dagli ultimi eventi.
Di “agenda Draghi” parla da sempre Carlo Calenda – che con il suo partito Azione ha già spiattellato una ventina di punti programmatici riassumibili in uno solo: smantellamento dello Stato sociale – e “agenda Draghi” ripete pappagallescamente Luigi Di Maio, abituato a pochi concetti da ripetere con furore nella speranza che prima o poi arrivino. Inutile dire che “l’agenda Draghi” sia la bussola anche di Gelmini e Brunetta – incoronati nuovi leader per la profondissima teoria “del nemico del mio nemico che quindi diventa mio amico” – e, sarà un caso, di tutti quelli che hanno avuto un ruolo di governo all’ultimo giro.
Ieri sera ospite a La7 il segretario del Partito democratico Enrico Letta ha ripetuto con forza il concetto: «Ci proporremo agli italiani per proseguire il lavoro politico del governo Draghi irresponsabilmente fatto cadere da forze populiste contro il volere degli italiani». La frase è interessante per diversi motivi. C’è dentro, ad esempio, il consapevole svilimento del Parlamento con la solita formula del “gli italiani sono con noi” – la stessa che giustamente abbiamo contestato a Salvini e Berlusconi per anni – che punta su una legittimazione che non passi dalle urne (questo Parlamento, nonostante sia orribile, è l’unica espressione degli italiani, secondo la Costituzione) e che risulta sempre pericolosa, soprattutto in mano agli altri. C’è dentro soprattutto “l’agenda Draghi” come se fosse un progetto politico.
Qui sorge il dubbio. Ma come? Ma non si era detto che il governo Draghi fosse un governo “tecnico” di “unità nazionale”? Come può essere faro politico un governo che – giustamente – non prendeva mai nessuna posizione sui diritti perché non era compito suo? Se Draghi era stato chiamato per mettere a terra i conti del Pnrr e uscire dalla pandemia – compiti importantissimi ma non politici – significa che questo è il timone per i prossimi 5 anni? L’aspirazione politica è quella di mettere in piedi un governo che sappia far di conto?
Ma il cortocircuito più evidente è che un pezzo del centrosinistra ripetendo allo stremo questa favola (che è fuffa) dell’agenda Draghi sta confessando che per i prossimi 5 anni ha come slancio politico l’amministrazione da banchiere centrale dello Stato. Sicuri che funzioni? Oppure l’agenda Draghi non è un modo ma è un luogo e allora diventa tutto più chiaro. Dire “agenda Draghi” è la scorciatoia per non essere troppo impudichi e parlare di “area Draghi” ovvero mettere insieme tutti i partiti che hanno sostenuto quel governo tranne – come ripetono Letta e Di Maio – quelli che l’hanno fatto cadere. Allora diventa facilissimo interpretare le contorte dichiarazioni: un governo con dentro il Pd, con Calenda, con Renzi, con Fratoianni e Bersani (ma davvero?), con Di Maio e immancabilmente con Brunetta, Gelmini e berlusconiani e leghisti pentiti e contriti.
Vedete, basta mettere in fila i nomi per immaginare il sapore che avrebbe. Sicuri di voler apparecchiare una roba del genere?
Buon venerdì.