Non è una bazzecola quella di pretendere che i funerali delle vittime delle vittime di Amatrice si svolgano a Amatrice e non a Rieti come sconsideratamente deciso dalla Prefettura che poi, sotto la pressione dei sopravvissuti appoggiati da Renzi, ha dovuto fare marcia indietro. E non è nemmeno una questione di pelosa organizzazione di sicurezza, atterraggi di governo e nemmeno di condizione atmosferiche: il funerale a Amatrice è la prima pietra della ricostruzione.
L’antidoto al terremoto (e più vastamente alla disperazione) è la speranza, ma non la speranza che uccise Monicelli («la speranza è una trappola inventata da chi comanda» ebbe a dire il maestro) quanto piuttosto la speranza che mai come dopo un terremoto assume la forma tattile della ricostruzione. Dopo la paura, il dolore e la conta delle vittime un paese terremotato ha diritto di sentire, presto e bene, un vigoroso progetto di ricostruzione. La speranza post terremoto è un credibile progetto di rivivere (dopo essere sopravvissuti) nella propria comunità fedele alla memoria e progredita nella sicurezza.
L’altrove per gli abitanti di un paese terremotato è il sinonimo della resa e dell’abbandono: c’è un’enorme dignità nel rivendicare il diritto di contare e raccogliere le macerie e vigilarle per ciò che erano. Per questo la decisione di celebrare i funerali a Rieti (e soprattutto di spostare le bare) è violenta oltre che stupida: qui non stiamo parlando di un assembramento abitativo abusivo accrocchiato in cima a qualche montagna ma di comuni che la storia ha insediato qui. La differenza, attenzione, è sostanziale.
La decisione di Renzi di riportare il momento del pianto “a casa” è quindi una decisione pienamente politica poiché se la cura e l’attenzione si pesano dai gesti oltre che nei numeri gli amatriciani hanno avuto il sentore di essere confortati nelle proprie esigenze. I cittadini di Amatrice (e dei paesi vicini colpiti dal sisma) hanno la preoccupazione di dover diventare “altro” per ipotizzare un futuro; di doversi sbriciolare anche loro per radicarsi altrove. L’altrove è la soluzione peggiore che si possa prospettare a chi è accampato tra i frammento del suo passato.
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