In Italia moltissime persone guadagnano appena quel che basta per dormire, mangiare e spostarsi. Salari da fame significa crescita della povertà assoluta. E pensioni da fame. Ecco quello che certa narrazione non prende in considerazione
“Up su la testa!”, un’organizzazione politica di studenti, lavoratori e cittadini che è nata con l’intenzione di lavorare insieme ad altri gruppi, fare rete, costruire coalizioni e percorsi comuni ed essere uno spazio di discussione e approfondimento (gente che cerca di unire nel disgregato e disgregante mare della sinistra italiana) ha lanciato una campagna per il salario minimo (“Sotto dieci è sfruttamento”) che fotografa perfettamente un pezzo di Paese che trova (furbescamente) poco spazio nel dibattito politico.
«Tantissime e tantissimi di noi – scrivono nel loro manifesto – nonostante anni di esperienza, studi, sforzi, fatica, non sono indipendenti e soddisfatti della propria condizione di vita. C’è chi è costretto a rimanere a lungo in casa con i genitori, chi ci torna dopo anni di tentativi, c’è chi condivide la casa con amici e sconosciuti nonostante siano passati molti anni dalla fine degli studi. C’è chi lavora tante ore con una paga oraria ridicola e c’è chi è costretto a un part-time dietro il quale si nascondono straordinari non pagati, sfruttamento e ricatti, c’è chi non trova lavoro e chi emigra per averne uno, chi lavora per un decennio nella stessa azienda con una partita Iva senza mai avere ferie e contributi, chi passa da uno stage non retribuito a un finto tirocinio sottopagato, chi prende la metà del suo collega di scrivania pur svolgendo le stesse mansioni, chi ha visto aumentare le proprie bollette a dismisura per lo smartworking e chi viene licenziato perché l’azienda delocalizza all’estero».
Si prende atto che moltissime persone guadagnano appena quel che basta per dormire, mangiare e spostarsi. E se è vero che il denaro non dà la felicità è pur vero che la serenità di non vivere aggrappati sempre per un pelo al fine mese dovrebbe essere un diritto dei lavoratori, al di là della retorica sulla nobiltà della fatica. Il salario medio italiano oggi è di 12.400 euro in meno rispetto a quello di un tedesco, l’Italia insieme a pochi altri Paesi ha nel 2019 salari che sono più bassi rispetto a quelli del 2007 e in Italia più di 5 milioni di lavoratrici e lavoratori guadagnano meno di 10.000 euro all’anno.
Come scrivono giustamente quelli di Up «il lavoro povero non è un problema solo della singola persona, ma è una piaga che si abbatte su tutto il Paese. Salari più bassi significa meno consumi, meno investimenti, meno crescita economica. Salari più bassi significa crescita della povertà assoluta. Il lavoro povero non è un problema che riguarda solo l’Italia di oggi, ma anche quella del futuro. Salari da fame oggi significa pensioni da fame domani. Lavorare sotto i dieci euro l’ora facilita la concorrenza al ribasso, la guerra tra poveri, la competizione tra chi lavora, meccanismi tossici che danneggiano le persone comuni a vantaggio di chi trae profitto dalla nostra fatica. Lavorare in condizioni precarie senza adeguati ammortizzatori sociali e senza una forma realmente inclusiva di reddito di cittadinanza vuol dire essere tutte e tutti costantemente sotto ricatto. La vittima di questo ricatto è l’intero Paese».
Tutto questo ovviamente viene disarticolato da una certa narrazione che dipinge gli italiani come un popolo di sfaticati intenti al proprio divano (nonostante i 142.000 stagionali di questa estate siano la cifra più alta degli ultimi anni, anche quando non esisteva il reddito di cittadinanza). L’articolo 36 della nostra Costituzione dice che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
Mi pare un punto centrale per qualsiasi per qualsiasi Piano nazionale di ripresa e resilienza. C’è qualcuno lì fuori che vuole farsene carico per uscire dalla narrazione di governo? Sarebbe utile saperlo in tempi brevi.
Buon lunedì.
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