C’è qualcosa che mi sfugge nella lettura della politica che si sta propagando in questi ultimi anni. Fermi tutti: non voglio parlare di crisi di governo di soluzioni salvifiche o di alleanze per un nuovo centrosinistra. Niente di tutto questo. Parlo proprio di politica, quella con la p maiuscola che sta nei modi (e nei mondi) dello stare insieme, nel come ci guardiamo negli occhi, ci stringiamo la mano, interpretiamo il nostro essere colleghi, compagni, amici, amati o conoscenti.
Quando ho cominciato a fare politica (che poi seguendo il mio incipit si potrebbe dire “mai” nel senso di “da sempre”) mi sono accorto di un meccanismo perverso che ammalia tutte le classi intellettuali senza distinzioni di reddito o di istruzione: la politica si può fare se eletti e una volta eletti si entra in un maleodorante pentolone da cui non ci si riesce a sciacquare nemmeno per tutti gli anni a venire. E non è un caso che quando si parla di impegno politico si usino diversi verbi di spostamento (scendere, salire, buttarsi) dando per scontato che la politica si trovi comunque “altrove”, in luoghi diversi secondo i partiti e le inclinazioni ma comunque non qui. Dove “qui” sta a significare il pascolo delle persone normali e i politici quindi diventano merce rara da riverire o vaffanculare a seconda dei propri umori; l’importante è che il sentimento sia comunque iperbolico.
Ecco, io non so se veramente il politico più lucido di tutti questi anni ad esempio non sia stato Don Ciotti, o forse il Ministro della Salute Internazionale non sia stato Gino Strada e Pasolini alla Coesione Sociale e Fo alla Cultura più di quanto non abbiano fatto molti altri ministri di cui non ricordiamo il nome se non è rimasto attaccato a qualche riforma da macelleria sociale. Come se il campo politico (o meglio sarebbe dire dei “condizionamenti sociali e culturali” che sono poi politica) si sia versato (ed è un bene) dappertutto e tutti continuino a fissare un bicchiere pressoché vuoto con solo i fondi di qualcosa che è Stato.
Quando ho cominciato a fare teatro, nella torbida provincia di Lodi per intendersi, in molti mi dicevano che “non era cosa”, che bisognava stare abbottonati senza lanciarsi in sfide senza prospettive (e senza reddito, perché che con la Cultura non si mangia l’ha detto uno ma lo pensano in molti). Quando la nostra sbrindellata compagnia ha cominciato a fare spettacoli proprio a forma di spettacoli che ormai non si potevano più annoverare tra le recite ci hanno detto che avevamo avuto fortuna e le conoscenze giuste. Così ci avevano detto. E tutti noi a chiedersi se veramente non fossimo riusciti a costruire un enorme assalto al mondo dello spettacolo lodigiano con macchiavellica incoscienza, roba da starci in analisi per qualche decina d’anni, per dire.
Poi abbiamo iniziato a costruire spettacoli “di teatro civile” (sì, lo so, civile e incivile sono cartellini buoni per un’esposizione fieristica ma volevo semplificare perché mi sta uscendo l’articolo più lungo degli ultimi mesi e mi chiedo sempre se viene la voglia di leggerlo tutto, un articolo del genere) e ci hanno detto che volevamo fare politica. Proprio così: troppo politicizzato, mi dicevano, anzi peggio, troppo comunista, barbone e capelli lunghi e tutte quelle cose lì che si dicono a quelli comunisti con la barba e i capelli lunghi che scrivono qualcosa che abbia cognomi di persone vere con condanne vere. Non si stava nemmeno male a fare il politicizzato: ti chiamano a fare il teatrante ma ti trattano da compagno come dovrebbero trattarsi i compagni sapendo che non ti sarebbe mai venuto in mente di prendere una posizione in un Congresso. Un compagno ma non troppo, nei luoghi e nei modi giusti, di quei compagni messi in condizione di non potere nemmeno sbagliare, direi.
Poi ci siamo detti che è una cosa strana questa cosa di dovere fare il politicizzato figlioccio dei politici (quelli della lettura propagata in questi ultimi anni) e alla fine non essere quasi mai d’accordo con loro, e fare la corrente di minoranza da un palcoscenico dietro le quinte non è proprio cosa, troppo fuori scena, troppo oscena. Facciamo politica, ci siamo detti. No, non farla, a ciascuno il suo, mi hanno risposto. Ed è una delle risposte che mi ha fatto arrabbiare di più di tutti questi ultimi anni. Poi siamo stati eletti. E’ stato eletto perché ha giocato la carte del vivere sotto scorta, mi dicevano.
Perché in tutto questo enorme catalogo di tipi che mi sono ritrovato ad attraversare c’è anche il fenomenale uomo scortato che in questa Italietta di stomaco e bocca piuttosto che cuore e cervello è una garanzia. Ma di questo ne ho già scritto e detto fin troppo e non tocca tornarci su. Per chi vuole informarsi c’è in giro parecchio materiale.
Ora succede anche che mi capiti (che fortuna) di scrivere. Scrivere proprio a forma di scrivere nel senso di libri a forma di libri. Quando per la prima volta avevo confessato di sognare un libro mi hanno guardato come mi hanno guardato quella volta lì che dicevo di volere fare teatro.
Poi è successo che nella vita si fanno delle scelte e ogni tanto la famiglia si declini al plurale. E allora diventano famiglie e diventa una scelta che in questo cattolicissimo Paese di preti troppo banchieri e puttane troppo parlamentari un padre che si separa è sempre un padre dissennato. Figurati poi se il letteratissimo, scortatissimo, politicizzatissimo decide di accompagnarsi con una donna di un’altra specie: vergogna, vergogna, una delusione, uno spreco, tutti uguali (e non si capisce mai chi a chi) oppure come scriveva De Gregori e poi tutti pensarono dietro i cappelli lo sposo e’ impazzito oppure ha bevuto. Anche su questo di materiale ce n’è fin troppo in giro ma non lesinerò una mia spiegazione una volta per tutte nei prossimi giorni, perché il sassolino voglio tenerlo in mano per qualche minuto anch’io.
Ora siamo qui, nella terra di mezzo come direbbe l’amico Fois, e in fondo ci sembra di essere nel luogo dove siamo sempre stati. Ma comincio a trovare noioso questo accalappiacani che vorrebbe insegnarci i tipi, le etichette e le normomodalità. Facciamo la nostra parte. In tutte le parti in cui ci è possibile dire qualcosa.
Se vi disturba, beh, se vi disturba allora funziona.