Non sono ancora del tutto esplorati gli agghiaccianti particolari della morte di Giulia Cecchettin, ennesimo femminicidio che ha scosso l’opinione pubblica costringendo un Paese intero a occuparsi dei femminicidi che solitamente scivolano scritti (male) negli angoli delle pagine di cronaca nera. C’è altro, oltre alle descrizioni minuziose dei luoghi e dei colpi, addirittura fatte a fumetto in attesa che arrivi magari il solito plastico. Nell’assassinio di Giulia per mano del suo ex fidanzato Filippo Turetta i magistrati vogliono vederci chiaro sulla telefonata di un testimone che alle 23.18 chiamò il 112 raccontando di avere assistito alla prima aggressione di Filippo nei confronti di Giulia. Quella chiamata non convinse i carabinieri di Vigonovo che ritennero non urgente l’intervento. Ma secondo un’indiscrezione dell’agenzia Lapresse la procura di Venezia starebbe verificando l’esistenza di una seconda chiamata al 112 rimasta senza seguito. Ad effettuarla, un’ora dopo quella del testimone, sarebbe stato un addetto alla vigilanza dello stabilimento di Fossà davanti al quale è iniziata l’aggressione. Non urgente.
Forse sarebbe il caso che anche le forze dell’ordine aprano un’ampia riflessione sulla sensibilità con cui approcciano e hanno approcciato i casi di donne a rischio in questo Paese. A certificarlo, solo in questi ultimi giorni, c’è quell’orrendo verbale proprio dei carabinieri di Vigonovo che ipotizzava nella prima denuncia un “allontanamento volontario”di Giulia e ci sono le centinaia di testimonianze di donne che hanno commentato un post su Instagram della Polizia di Stato elencando le innumerevoli volte in cui non sono state ascoltate. I commenti erano stati cancellati e disabilitati. Sono stati ripristinati e riaperti dopo le proteste di molti. Appunto.
Così tanto per cominciare, per metterci in discussione tutti, proprio tutti.
Buon venerdì.
Nella foto: Giulia Cecchettin, frame di un video di un programma Rai