Per ora il progetto culturale del Comune di Roma si riduce allo sgombero. Restano in campo le promesse e la speranza che davvero le istituzioni della cultura sappiano “istituzionalizzare” ciò che di buono e i novativo è stato costruito e sperimentato al Teatro Valle ma rimane il fatto che, anche nel campo della cultura, noi abbiamo bisogno di legislatori che sappiano declinare in leggi dello Stato le buone pratiche dei “movimenti” (parola bruttissima, abusata, svuotata e da rimettere il prima possibile nel cassetto degli slogan deturpato dalla politica).
Ha ragione quindi Montanari quando scrive che:
Negli ultimi decenni, anche in campo culturale le pubbliche amministrazioni hanno creato società e agenzie che permettessero di agire secondo procedure, e non di rado anche con finalità, di tipo privatistico (si pensi ad Arcus; o a Zétema, per restare a Roma). Qua si tratta di avviare un processo perfettamente speculare: studiare il modo in cui sia possibile che le istituzioni pubbliche ospitino al loro interno un modo più radicale (e dunque meno commerciale e meno lottizzato) di essere ‘pubblico’.
Si tratta di portare dentro ad un teatro pubblico un modo di fare, produrre, condividere teatro ispirato alla filosofia dei beni comuni. Se ci saranno abbastanza onestà intellettuale, fantasia e tenacia per farlo davvero, allora la storia del Valle Occupato sarà finita bene. E la Repubblica sarà un po’ più res publica.