Più del «noi» usato per rivendicare la militanza in FdI, del direttore dell’approfondimento Rai colpisce la delegittimazione con sberleffo della segretaria dem. Giusto quanto inutile il richiamo della presidente Soldi all’imparzialità dei giornalisti. Il destra-centro è proprio questo.
Stupisce che stupisca il fatto che il direttore dell’approfondimento Rai Paolo Corsini non riesca a trattenersi dal dire «noi» ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, dove ha pensato bene di passare per senso di gratitudine. Corsini deve avere pensato che il mandato della presidente del Consiglio Giorgia Meloni fosse riuscito nel suo intento di aprire una nuova egemonia culturale in cui dichiarare fede al partito sia il prerequisito essenziale per essere notati. Se si porgesse l’orecchio ad alcune trasmissioni televisive e radiofoniche del servizio pubblico si coglierebbe lo stesso spirito di militanza, la stessa sicumera esibita, lo stesso piglio. La differenza sta solo nella platea: sculettare da attivista alla manifestazione politica della compagine della presidente del Consiglio sperando di non essere notati significa essere poco svegli, anche come giornalisti.
Il melonismo ha portato la Bestia salviniana dai social ai luoghi di potere
Il punto è che il melonismo è esattamente questa roba qui: esercitare “la Bestia” (quella che Salvini riservava solo ai social) nei luoghi di potere per svilirli e farli apparire gustosamente vicini ai propri elettori. Se anche i giornalisti della Rai perculano Elly Schlein come i commentatori social questo è davvero il miglior mondo possibile. Così alla presidente della Rai Marinella Soldi non è rimasto che ricordare «che un giornalista del servizio pubblico deve garantire un atteggiamento sempre equidistante, a prescindere dal contesto in cui opera» ed «esercitare la propria professione nel segno del pluralismo e dell’imparzialità, essenziali per aiutare il cittadini a formarsi un’opinione libera da pregiudizi, a massimo vantaggio della democrazia e del Paese». Tutto vero, tutto bello, ma se dovessimo applicare alla lettera le parole della presidente ci sarebbe qualche decina di giornalisti fuori dalla sua porta pronti con le dimissioni in mano.
Più del «noi» di Corsini colpisce la delegittimazione con sberleffo di Elly Schlein
Il problema non è l’avere giornalisti che nutrono legittime opinioni politiche, questo è un tratto naturale che appartiene a qualsiasi lavoratore in qualsiasi campo e di qualsiasi categoria. L’elemento nuovo dell’abisso di questo tempo sono i giornalisti – solo perché stiamo parlando di quelli – che utilizzano lo sberleffo senza nessun altro contenuto per la delegittimazione di avversari politici che sentono come nemici propri. Più del «noi» scappato a Corsini in pubblico per l’abuso che ne fa in privato, dice la frase pronunciata contro Elly Schlein: «Quest’anno il confrontare ce l’abbiamo, ma qualcuno ha preferito rifiutare, forse perché nell’era dei social è più facile cercare un po’ di like che dibattere nel merito. Hanno preferito occuparsi di come vestirsi e di che colori utilizzare, piuttosto che confrontarsi». Qui dentro c’è l’arroganza del potere trasferita per appartenenza a “non potenti” che rivendicano di essere sotto la giusta ala protettrice. Magnificare le sorti del partito che ti ospita è già un atteggiamento lascivo ma voler contribuire all’affossamento dell’avversario assente ha un che di vigliacco.
La stretta contro i giornalisti che rifiutano l’appartenenza a questo sistema di potere
È la stessa viltà che si legge nelle scuse con cui Corsini attinge al genere letterario del fraintendimento e delle «facili critiche e strumentalizzazioni». Ci fa sapere che «non c’era ovviamente alcun intento politico o polemico». Per «dibattere nel merito», come dice lui, bisognerebbe decidere di cosa si stia scusando: di non saper cogliere la differenza tra la figura del moderatore e quella del provocatore? Di non sapere riconoscere le forme dell’intento «politico» che giura di non avere avuto? Passerà ancora del tempo prima che ci si renda conto che in taluni ambienti l’appartenenza è la virtù più importante nel tempo di questo governo. Passeranno ancora mesi prima che ci si renda conto che siamo in un tempo in cui le querele vengono sconsideratamente utilizzate da membri di maggioranza e di governo contro i giornalisti non appartenenti. Ci vorranno forse anni per accorgersi che la riforma della diffamazione ha dei tratti raggelanti. Ci vorrà ancora tempo per comprendere che l’ipotesi di non fare scrivere i giornalisti sugli arresti fino alla fase processuale (come si immagina in un emendamento di questi giorni) sia un’idea da regime saudita. Ci vorrà tempo e poi si avrà coscienza che non si tratta di giornalisti, si tratta di un’idea del potere.
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