Ieri è stato il ministro Matteo Salvini: “invito Macron a tacere. Se Macron pensa alla guerra, si metta l’elmetto, si prenda una fionda e vada lui a combattere”. Per il leader della Lega il pacchetto allo studio del governo del nuovo pacchetto di invio di armi in Ucraina non era “la risposta giusta”. A quel punto il caso politico è stato smorzato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani chiarendo che le armi spedite dall’Italia sarebbero state “solo a scopo difensivo” (per quel poco o niente che significa): “ non diamo materiale che possa essere usato aldilà dei confini, non siamo in guerra con la Russia”. Ha detto il presidente di Forza Italia.
Eppure l’insofferenza in casa leghista circola da un po’. “Ci preoccupa molto il fatto che si senta parlare solo di armi e che non ci siano iniziative diplomatiche che prevedano l’ipotesi di negoziati”, aveva detto qualche giorno fa il capogruppo leghista in Senato Massimiliano Romeo e l’insofferenza era stata notata da tutti. Oggi il vicesegretario della Lega Andrea Crippa compie un ulteriore passo in avanti e intercettato nei corridoi della Camera dichiara di essere contrario all’invio del Samp-T italiano a Kiev, “uno strumento che non serve più solo a difendere i cittadini ma rischia di essere anche offensivo: questo è uno strumento per fare la guerra alla Russia e noi diciamo no”. Il braccio destro di Salvini – uno dei pochi fedelissimi nella cerchia ristretta del segretario – chiarisce che la Lega è “contro l’invio di altre armi a Kiev e non perché stiamo contro l’Ucraina, ma perché in questo modo non si risolve la guerra che ha provocato così tanti danni ai cittadini, anche in termini economici”.
Dopo Salvini anche il vicesegretario della Lega Andrea Crippa si dice contrario all’invio di armi in Ucraina
La strategia del leader della Lega è chiara: da aprile i sondaggi dicono che la Lega è il partito più amato dai pacifisti di destra e il segretario ha intenzione di capitalizzare al massimo la posizione fino alle prossime elezioni europee. A questo si aggiungono le posizioni del presidente francese Macron che la Lega non ha mai amato e ora ha l’occasione di utilizzare come pietra angolare per puntare su un messaggio “pacifista” che si opponga all’escalation militare in Ucraina. In più c’è la soddisfazione di creare un forte imbarazzo alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, incastrata dalle promesse fatte in ambito internazionale, che oggi incontra il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg con il fantasma del suo alleato sempre meno credibile nonostante i voti in Parlamento.
Il Parlamento, appunto “è quello che conta”, dicono negli ambienti di Fratelli d’Italia mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto lavora sul nono pacchetto di aiuti. E per ora il voto della Lega alla Camera e al Senato non sembra essere in discussione, nonostante alcuni dissidenti – come Claudio Borghi – che potrebbero astenersi per corroborare la narrazione sotto traccia. A Meloni però non basteranno i numeri per evitare l’isolamento in Ue verso le prossime elezioni. Le posizioni filoatlantiste sono la condizione sine qua non per spostare il Partito dei conservatori e dei riformisti europei (di cui Fratelli d’Italia fa parte) nella possibile maggioranza che verrà a Bruxelles. Un Salvini sempre più radicale sulla contrarietà all’invio di armi in Italia e in Europa è un serio problema di tenuta della narrazione meloniana e alla lunga del governo stesso. Nel quartier generale di Fratelli d’Italia si è deciso di non menzionare l’Ucraina nel programma elettorale per le elezioni europee ma come sempre accade non sarà possibile nascondere la diatriba sotto il tappeto troppo a lungo.
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