Nel 2023 nove enti sono stati commissariati per questo motivo. E in tutto erano 33 le realtà sotto una gestione amministrativa non scelta dai cittadini. Situazioni in cui la democrazia è sospesa. Ma che non fanno più notizia né suscitano indignazione. E l’indifferenza è il favore più grande che si possa fare alla criminalità organizzata.
In un’Italia che si dibatte tra mille emergenze ce n’è una che passa sistematicamente sotto silenzio: lo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose. Un fenomeno che rappresenta un allarme democratico che corrode le fondamenta stesse dello Stato di diritto. Nel 2023 nove Comuni italiani sono stati commissariati per infiltrazioni mafiose. Un numero che, preso isolatamente, potrebbe sembrare rassicurante, essendo il più basso dal 2016. Ma fermarsi a questa cifra sarebbe un errore. La realtà, infatti, è ben più complessa e preoccupante.
La durata media di questi commissariamenti è di 26 mesi
Nel corso dello stesso anno, come sottolinea un recente report di Openpolis, erano 33 i Comuni sotto gestione commissariale. Questo significa che in 33 realtà locali italiane la democrazia era di fatto sospesa. Luoghi in cui non erano i cittadini a scegliere i loro rappresentanti, ma commissari nominati dallo Stato a gestire l’amministrazione. La durata media di questi commissariamenti è di 26 mesi, oltre i 18 mesi previsti dalla legge, con una possibile proroga fino a 24. In pratica per più di due anni i cittadini di questi Comuni hanno vissuto (o ancora vivono) in una sorta di limbo democratico, privati del diritto fondamentale di scegliere da chi essere governati.
Non solo al Sud: le mafie hanno da tempo varcato il Rubicone
La distribuzione geografica di questo fenomeno racconta una storia che molti preferirebbero non sentire. La Calabria guida la triste classifica con 10 Comuni commissariati, seguita da Campania, Puglia e Sicilia con sette ciascuna. Un quadro che sembrerebbe confermare il vecchio stereotipo di un Sud in balìa della criminalità organizzata. Si tratta però di un’altra lettura superficiale. Negli anni passati, infatti, casi di commissariamento sono stati registrati anche in regioni insospettabili del Nord, come Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Un dato che dimostra come le mafie abbiano da tempo varcato il Rubicone, infiltrandosi capillarmente in tutto il tessuto nazionale.
Solo piccole realtà? No, c’è Foggia che ha oltre 150 mila abitanti
Sarebbe un altro sbaglio pensare che il problema riguardi solo piccoli centri sperduti. Certo, la maggior parte dei Comuni coinvolti ha meno di 50 mila abitanti, ma non mancano casi di città più grandi. Foggia, capoluogo di provincia con oltre 150 mila cittadini, è stata governata da un commissario per 27 mesi. Un caso che dimostra come le mafie non si facciano problemi a puntare anche a prede più grosse e visibili. L’andamento storico del fenomeno racconta di un problema tutt’altro che risolto. Nel 1991, quando la legge introdusse la possibilità di sciogliere i Comuni per infiltrazioni mafiose, si registrarono 21 casi. Il picco si raggiunse nel 1993 con 34 Comuni sciolti. Negli anni successivi, il numero è oscillato notevolmente: si è passati dai tre episodi del 1995 ai 24 del 2012, con nuovi picchi di 23 nel 2018 e 21 nel 2017 e nel 2019. Questa ciclicità suggerisce che le organizzazioni criminali si adattano, trovando sempre nuove strategie per infiltrarsi nelle amministrazioni locali.
Il vero pericolo è quello dell’indifferenza generale
Lo scioglimento di un Comune non è un atto indolore. Comporta la sospensione degli organi elettivi e la nomina di una commissione straordinaria che gestisce l’ente per un periodo che, come abbiamo visto, supera spesso i due anni. Il commissariamento spesso porta a un rallentamento dell’attività amministrativa, con conseguenze negative sui servizi ai cittadini. Inoltre, può generare un senso di sfiducia nelle istituzioni, alimentando quel distacco tra elettori e politica che è già una delle piaghe del nostro sistema. Il vero pericolo, tuttavia, non è solo l’infiltrazione mafiosa in sé, ma l’indifferenza generale con cui viene accolta questa notizia. Il fatto che 33 Comuni commissariati per mafia non facciano più scalpore è un segnale preoccupante. Indica che la società italiana ha iniziato a considerare normale ciò che normale non è. Questa assuefazione è il miglior alleato delle mafie. Perché un fenomeno che non fa più notizia è un fenomeno che non suscita più indignazione. E senza indignazione non c’è lotta.
Appalti, concessioni, rapporti oliati: perché i Comuni fanno gola
Ma perché le mafie puntano così tanto sui Comuni? Le ragioni sono molteplici. Controllare un’amministrazione locale significa avere accesso ad appalti, concessioni, licenze. Significa poter orientare le scelte urbanistiche, influenzare l’assegnazione di alloggi popolari, gestire i servizi di raccolta rifiuti. In altre parole, vuol dire avere il controllo del territorio e delle sue risorse. In questo modo le mafie costruiscono quel sistema di relazioni e connivenze che è il vero carburante del loro potere. Un sindaco o un assessore colluso può aprire porte, facilitare contatti, garantire protezioni ben oltre i confini del suo Comune.
Misura pensata per essere straordinaria ma che ormai è la normalità
La legge che permette lo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose è stata introdotta, come detto, nel 1991, all’indomani di una stagione di sangue che aveva visto le mafie sfidare apertamente lo Stato. Era pensata come una misura straordinaria, un bisturi per recidere i legami tra criminalità organizzata e politica locale. Dopo 30 anni, quella misura straordinaria è diventata ordinaria amministrazione. Un dato che, da solo, dovrebbe far riflettere sull’efficacia di questo strumento. Se dopo tre decenni siamo ancora qui a contare i Comuni sciolti, forse è il caso di chiedersi se non sia necessario un approccio diverso. E forse un Paese che accetta passivamente che 33 dei suoi Comuni siano gestiti da commissari per infiltrazioni mafiose non è un Paese in salute. Normalizzare è il più grande favore che si possa fare alle mafie.
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