Mentre in Italia qualcuno nella classe dirigente scambia il clima con il meteo e ironizza sul freddo, nell’Europa centrale si vivono giorni di angoscia e distruzione. La tempesta Boris ha scatenato una furia d’acqua che ha travolto intere regioni, lasciando dietro di sé un bilancio sempre più pesante di vittime, sfollati e danni.
Al momento, le cifre parlano di almeno 15 morti: sei in Romania, cinque in Polonia, tre in Austria e uno nella Repubblica Ceca. Nella Repubblica Ceca, quattro persone risultano disperse, tre delle quali travolte da un fiume mentre erano in auto nella città di Lipová-lázne. È una corsa contro il tempo, con i soccorritori che lottano instancabilmente contro le acque tumultuose.
Il bilancio della devastazione: morti, dispersi e città sommerse
In Austria, la situazione è apocalittica. La Bassa Austria, che circonda Vienna, è stata dichiarata zona disastrata. Un vigile del fuoco ha perso la vita cercando di salvare delle persone, mentre due cittadini sono annegati nelle loro stesse case. Come se non bastasse, alcune aree del Tirolo si sono ritrovate sotto un metro di neve in uno scenario surreale per metà settembre, tanto più che solo una settimana fa nella zona si godeva di temperature a dir poco estive.
La Polonia non è da meno. Il primo ministro Donald Tusk, visitando le zone colpite, ha descritto una situazione “molto drammatica”. A Kłodzko, il fiume locale ha raggiunto livelli mai visti prima, superando persino il terribile record del 1997. Circa 1.600 persone sono state evacuate, e l’esercito è stato chiamato a supporto dei vigili del fuoco, in una lotta impari contro la forza della natura.
In Romania, il dramma si consuma nel sud-est del paese. Nella sola regione di Galati, 5.000 case sono state danneggiate. Il sindaco di Slobozia Conachi, Emil Dragomir, non usa mezzi termini: “Questa è una catastrofe di proporzioni epiche”. Le sue parole risuonano come un monito, mentre 700 case del suo villaggio giacciono sommerse. In questo scenario drammatico, anche le grandi capitali tremano. A Budapest, il Danubio minaccia di superare gli 8,5 metri, avvicinandosi pericolosamente al record storico del 2013. Bratislava ha dichiarato lo stato di emergenza, preparandosi al peggio.
La risposta all’emergenza: governi in azione e solidarietà popolare
Di fronte a questa catastrofe, i governi si mobilitano. La Polonia ha stanziato 1 miliardo di zloty (circa 260 milioni di euro) per i soccorsi. L’Austria ha messo a disposizione un fondo di 300 milioni di euro, pronto ad essere aumentato se necessario. Le previsioni non lasciano spazio all’ottimismo. Le piogge continueranno almeno fino a lunedì in Repubblica Ceca e Polonia, mentre Ungheria, Slovacchia e Austria si preparano a giorni ancora difficili.
Mentre i fiumi continuano a gonfiarsi e le città a sommergersi, una domanda serpeggia tra le popolazioni colpite: è questa la nuova normalità? Le autorità e i cittadini si trovano di fronte a una sfida senza precedenti, costretti a ripensare le proprie strategie di difesa e di adattamento di fronte a eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili.
L’Europa centrale è in ginocchio, ma non si arrende. Tra le acque che salgono e le case che crollano, emergono storie di solidarietà e resilienza. Vigili del fuoco, volontari, militari e semplici cittadini lavorano fianco a fianco, in una corsa contro il tempo per salvare vite e limitare i danni.
Insomma la tempesta Boris si allontana lentamente, lasciando dietro di sé non solo distruzione ma anche la consapevolezza che il futuro potrebbe riservare sfide ancora più grandi. L’Europa centrale, e con essa l’intero continente, si trova di fronte a un bivio: imparare da questa catastrofe per costruire un futuro più resiliente o rischiare di soccombere alla prossima tempesta che, inevitabilmente, si abbatterà sulle sue terre. Con buona pace dei nostri ironici negazionisti.
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