Chi è l’uomo nero della Lega Nord amico di Massimo Carminati e Flavio Tosi Domenico Magnetta ai microfoni di Radio Padania
Dal boss di Mafia Capitale alla Lega Nord. Dal nero degli anni di piombo al più sfumato verde Carroccio. Dalla guerra allo Stato alle battaglie degli artigiani vessati da Equitalia. È la parabola di Domenico Magnetta, passato negli anni Ottanta attraverso rapine, armi ed eversione di estrema destra ed ora “fascioleghista” con tanto di trasmissione radiofonica sulle frequenze di “Radio Padania Libera”.Cinquantasette anni, nato in provincia di Foggia ma trapiantato a Milano, oggi si è riciclato come gran capo di “P.i.u.”, l’associazione di professionisti e imprenditori uniti nata vent’anni fa per volere di Umberto Bossi e Roberto Maroni. Così, l’uomo nero della Lega Nord è diventato la voce nell’etere dei piccoli commercianti arrabbiati contro la burocrazia ingiusta, e dispensa consigli tutti i lunedì, ascoltando le storie di piccole e grandi ingiustizie.
Apre le telefonate con le invettive contro Equitalia, le cartelle esattoriali e poi alzando il tiro contro tutti i migranti. «Ci stanno togliendo anche le lacrime a noi lavoratori autonomi», tuonava Magnetta ai microfoni aperti nella puntata dello scorso 31 dicembre.
La passione politica però non è mai scemata ed eccolo rispuntare a fianco del sindaco di Verona, Flavio Tosi. L’occasione è il raduno degli ex camerati sulle sponde dell’Adige: sabato 7 febbraio si ritrovano all’Hotel Leon d’Oro per l’assemblea di “Progetto nazionale”, laboratorio politico degli orfani del defunto partito Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante e diventato braccio operativo di Tosi. In platea per la giornata di idee e dibattiti intitolata “La destra che verrà” ci sono lo scrittore giornalista de “Il Foglio”, Pietrangele o Buttafuoco, il fondatore de “La Destra” e presidente dell’antimafia siciliana, Nello Musumeci, il capogruppo del Carroccio al Senato, Gian Marco Centinaio, e un manipolo di vecchi missini, nomi storici della destra sociale e sopratutto ex skinhead diventati uomini di fiducia del sindaco.
Un’alleanza “verde-nero” che ha dato i suoi frutti: alle ultime elezioni per la guida della città (nel 2012) il leghista Tosi è stato rieletto con il 57 per cento delle preferenze, spinto dalla sua lista civica infarcita di ex fascisti.
Tre anni dopo, Tosi alza il tiro; e l’obiettivo dichiarato del raduno del 7 febbraio è quello di scalare il centrodestra e provare a contendere la leadership del segretario leghista Matteo Salvini.Per un’impresa del genere servono gli uomini giusti e una ramificazione nazionale: finora sono circa un migliaio gli ex camerati reclutati e per l’importante piazza di Milano vengono scelti l’ex tesoriere dei Nuclei armati per la rivoluzione (Nar), Pasquale “Lino” Guaglianone, e il suo delfino Domenico (detto Mimmo) Magnetta. Entrambi presenti in prima fila nell’incontro di Verona.
Un pedigree da duri e puri che non dispiace a Tosi: Guaglianone è stato condannato a cinque anni per la sua appartenenza ai Nar fondati da Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Franco Anselmi e Alessandro Alibrandi, i terroristi italiani d’ispirazione neofascista che alla fine degli anni Settanta firmano trentatré omicidi e nel 1980 la strage alla stazione di Bologna, costata la vita a ottantacinque persone. Oggi però l’ex estremista è un affermato commercialista che sa muoversi bene negli ambienti che contano nella borghesia milanese fatta di avvocati, notai e lobbisti. Grazie all’appoggio dell’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel 2009 è stato nominato nel consiglio di amministrazione di Ferrovie Nord, la controllata della Regione Lombardia che gestisce le linee locali, e presidente del collegio sindacale di Fiera Milano congressi.
Magnetta, invece, non ha poltrone. Il suo è un curriculum di manovalanza. Ma sempre dura e pura, tanto che muove i primi passi insieme al boss di “Mafia Capitale” Massimo Carminati. È infatti in una notte di aprile del 1981 che il futuro re della piramide criminale romana cerca di scappare all’estero con 25 milioni di lire, diamanti e documenti falsi. Ha ventitré anni ma è già un militante dei Nar, invischiato nella malavita di Roma e ricercato per azione sovversiva e banda armata. A Magnetta, di un solo anno più vecchio, i camerati milanesi affidano il delicato incarico di accompagnarlo oltreconfine, passando dalla frontiera di Gaggiolo, in provincia di Varese. Dove li aspetta la polizia, messa sulla pista giusta da una soffiata.
I due incappano nel posto di blocco e una raffica di proiettili degli agenti stoppa ogni tentativo di fuga. Carminati viene colpito all’occhio e finisce in ospedale. Primo arresto e prima ferita, quella che gli vale il soprannome di “Er Cecato”. Magnetta viene condannato per favoreggiamento, ma la sua carriera criminale già vanta un ricco curriculum: furto, ricettazione, rapina, detenzione illegale di armi, fino al sequestro di persona.
Negli anni successivi, mentre Carminati diventa il “Nero” della Banda della Magliana, lui incappa nella storiaccia brutta del presunto attentato al magistrato milanese antimafia Gianni Griguolo. Accusato insieme al terrorista Mauro Addis, viene condannato a tre anni e dieci mesi dalla Corte di appello di Milano nel 1999 per detenzione abusiva di armi e ricettazione. Nel gennaio 2001 passa agli arresti domiciliari e quattro anni dopo torna in circolazione. Ed eccolo di nuovo a fare comunella con il suo mentore Guaglianone, riabilitato anche lui e candidato nella lista di Alleanza nazionale per le elezioni regionali in Lombardia.
Il seggio sfuma, ma questo non nuoce agli affari, sempre più grossi per il professionista legato a molte società calabresi e all’ex governatore regionale Giuseppe Scopelliti.
Guaglianone finisce indagato nel 2012 dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria insieme ad alcuni suoi soci per lo scandalo del Carroccio e gli investimenti in Tanzania: i rimborsi elettorali del partito venivano investiti in cascate di diamanti, fiduciarie africane, banche levantine e lingotti d’oro.
Dall’inchiesta si scopre che nel suo quartier generale, l’ufficio di via Durini 14, a due passi dalla centralissima piazza milanese di San Babila, c’era una scrivania per l’ex segretario amministrativo della Lega Nord Francesco Belsito, l’uomo dei conti segreti di casa Bossi. Che da qui, accusano i magistrati, gestiva partite molto pericolose, muovendo denaro in un triangolo tra cosche, massoneria ed estremisti di destra. Le indagini non sono ancora chiuse e puntano ad accertare se di queste transazioni era a conoscenza anche il vertice della Lega.
È dalle stanze di via Durini che, nonostante le indagini della Procura calabrese, Guaglianone riparte all’attacco: prima dell’ultimo Natale organizza vari incontri con colleghi e altri professionisti allo scopo di sondare la disponibilità di appoggiare Tosi nella scalata al centrodestra. E c’è un gran via vai in via Durini 14, dove ha sede anche la società “Iniziative Belvedere srl” della quale Magnetta è amministratore e ha della quote di minoranza. Lo scopo? Compravendita di immobili.
Un trasformista questo Magnetta, prima terrorista, poi galeotto; e, nel giro di dieci anni piccolo imprenditore e paladino dell’associazione leghista che lotta contro «un fisco sempre più insostenibile e una burocrazia soffocante». Una missione che va ampliandosi, tanto che dai microfoni di Radio Padania lui si celebra: «Ultimamente mi sono intestardito nella lotta contro le banche, per tutelare i risparmiatori e spingerle a concedere prestiti e fidi».
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