Ci sono molti dolori nella storia di Sebastian Galassi, il rider morto schiantato contro un suv lo scorso 2 ottobre, in via De Nicola a Firenze, mentre correva per rispettare i tempi dell’algoritmo. C’è la vita di un 26enne che studiava grafica per il web e poi la sera inforcava la bicicletta per racimolare un po’ di soldi, schiavo qualche ora al giorno per provare a mantenersi. C’è una lista di morti schiacciati che comprende William De Rose a Livorno lo scorso 25 marzo, Romulo Sta Ana morto il 29 gennaio a Montecatini e Roman Emiliano Zapata, deceduto il 19 settembre sul Terragno, nel trevigiano.
C’è un settore che continua a tollerare le condizioni precarie (illegali, bisognerebbe avere il coraggio di scrivere “illegali”) di lavoratori che devono correre perché pagati a cottimo, l’ennesimo lavoro dove il rispetto della sicurezza è un costo solo che in questo caso il costo è addossato ai lavoratori. C’è la narrazione delle grandi piattaforme di consegne (Glovo, Deliveroo e Uber) che chiamano tutto questo “flessibilità” e “libertà”, secondo lo schema ma della solita cosmesi linguistica che racconta i diritti come vincoli. Era accaduto qualche anno fa con la “precarietà”, ci siamo cascati, ci ricaschiamo di nuovo.
Ci sono sentenze (a Firenze, a Bologna, a Milano, a Torino, a Palermo) che dicono che questi lavoratori andrebbero inquadrati diversamente ma non vengono rispettate, rimangono nel fascicolo della letteratura dei diritti. C’è Glovo che licenzia un morto: «Gentile Sebastian, siamo spiacenti di doverti informare che il tuo – si legge nel testo, una comunicazione meccanica e standardizzata senza traccia di contatto umano -. Per mantenere una piattaforma sana ed equa, talvolta è necessario prendere dei provvedimenti quando uno degli utenti non si comporta in modo corretto». Nella mail risalta un particolare importante: i lavoratori sono chiamati “utenti”. Dietro quella parola si sente l’odore di un lavoro che diventa un favore.
Infine c’è la manifestazione convocata oggi a Firenze che otterrà molto meno spazio dei verbosi editoriali di vecchi intellettuali (vecchi perché fuori dal tempo) che scrivono dei giovani che non lavorano perché non hanno voglia di lavorare e non si chiedono mai – nemmeno un volta – se Sebastian avesse accettato un qualsiasi lavoro, in condizioni più umane, senza dover andare forsennatamente in bicicletta per la città per pochi spiccioli.
Buon mercoledì.
Nella foto: incidente in cui è rimasto coinvolto un rider, Milano, 20 settembre 2022