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Liste d’attesa in Sanità: solo 6 regioni su 21 giocano a carte scoperte

Il labirinto delle liste d’attesa nella sanità italiana si fa sempre più intricato, come rivela l’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe presentato oggi 19 settembre 2024 al Forum Mediterraneo in Sanità di Bari. L’analisi, che scrutina la trasparenza dei siti web regionali e l’accessibilità dei portali di prenotazione, dipinge un quadro a tinte fosche del nostro Servizio Sanitario Nazionale.

Solo 6 regioni su 21 – Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, Umbria e Veneto – forniscono informazioni complete e trasparenti sui propri siti web riguardo i tempi d’attesa per le prestazioni sanitarie ambulatoriali. Queste (virtuose) offrono sia dati aggregati regionali che dettagli sulle singole aziende sanitarie, un livello di granularità essenziale per i cittadini in cerca di cure tempestive.

La Puglia emerge come un faro solitario nel Sud Italia, unica a raggiungere questo standard di trasparenza in un’area geografica tradizionalmente in affanno sul fronte sanitario. Un dato che solleva interrogativi sulla disparità territoriale nell’accesso alle informazioni, riflesso di un divario più ampio nella qualità dei servizi offerti.

Il mosaico della trasparenza: una mappa dell’Italia a macchia di leopardo

Il quadro si fa ancora più fosco quando si scorre l’elenco delle regioni escluse dall’analisi. Basilicata, Campania e Lombardia non dispongono nemmeno di un portale unico con i dati del monitoraggio ex-ante, rimandando ai siti delle singole Aziende sanitarie in un gioco di rimbalzi che disorienta il cittadino. Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento e Sicilia si sono fermate al 31 dicembre 2023, come se il tempo si fosse cristallizzato, fornendo dati ormai obsoleti e potenzialmente fuorvianti.

L’analisi Gimbe ha valutato diversi parametri chiave: la visualizzazione dei dati (a livello regionale e/o per singole Aziende sanitarie), il numero di prestazioni monitorate, il tempo di attesa medio, la percentuale di rispetto dei tempi previsti per ciascuna classe di priorità, e la possibilità di confrontare le performance tra Aziende sanitarie. Criteri che, se soddisfatti, permetterebbero ai cittadini di navigare con consapevolezza nel mare magnum delle prestazioni sanitarie.

Emergono differenze significative anche tra le regioni che offrono qualche forma di trasparenza. Calabria, Piemonte e Toscana riportano i dati solo per le singole Aziende sanitarie, senza fornire una visione d’insieme regionale. All’opposto, Marche e Sardegna presentano solo dati aggregati regionali, oscurando le potenziali disparità tra le diverse strutture sanitarie locali.

L’odissea digitale: quando prenotare diventa un’impresa

Le modalità di accesso ai portali di prenotazione costituiscono un altro capitolo di questa odissea digitale. Ben 11 regioni richiedono SPID o CIE, alzando una barriera tecnologica non indifferente per fasce significative della popolazione, specialmente anziani e soggetti meno digitalizzati. Cinque regioni optano per il binomio codice fiscale e tessera sanitaria, mentre Basilicata, Friuli Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Trento, in un lampo di pragmatismo, consentono la consultazione dei tempi d’attesa senza necessità di autenticazione. Il Molise, in splendida solitudine, offre solo un’app per smartphone, come se tutti i cittadini fossero nativi digitali, ignorando le esigenze di chi non possiede o non sa utilizzare dispositivi mobili.

Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, non usa mezzi termini: i tempi d’attesa sono “il sintomo più grave ed evidente della crisi organizzativa e professionale del SSN”. Un sintomo che si traduce in disagi concreti per i pazienti, peggioramento degli esiti di salute e aumento della spesa sanitaria privata. In altre parole, chi può paga, chi non può aspetta. O, peggio, rinuncia alle cure, con conseguenze potenzialmente devastanti sulla salute pubblica e sull’equità del sistema sanitario.

Il recente Decreto Legge sulle liste d’attesa ha previsto l’istituzione di una Piattaforma Nazionale presso l’Agenas per monitorare in modo rigoroso, analitico e uniforme i tempi di attesa in tutte le Regioni italiane. Un passo avanti sulla carta, ma Gimbe sottolinea come la sua realizzazione dipenda strettamente dall’eterogeneità e dalla trasparenza delle piattaforme regionali. In altre parole, se alla base i dati sono lacunosi o assenti, anche la piattaforma nazionale rischia di essere un guscio vuoto, incapace di offrire una visione realmente completa e comparativa della situazione a livello nazionale.

L’obiettivo dichiarato dell’analisi Gimbe non è creare una “classifica” tra le Regioni, ma identificare le aree di miglioramento dei portali web regionali. Tuttavia, i numeri parlano chiaro e raccontano di un’Italia a due velocità, dove la trasparenza sembra essere un concetto aleatorio, applicato in modo disomogeneo e spesso insufficiente.

In questo scenario la trasparenza non è solo una questione di numeri e dati. È il presupposto fondamentale per un rapporto di fiducia tra cittadini e servizio sanitario. È la condizione sine qua non per garantire un accesso equo e informato alle cure, permettendo ai pazienti di fare scelte consapevoli e di esercitare il proprio diritto alla salute in modo effettivo.

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