L’Italia è tra i paesi che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito nell’Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse. Non solo: nel nostro paese la favola di Cenerentola si avvera con sempre minore frequenza, nel senso che le coppie tendono maggiormente a formarsi tra percettori di reddito dello stesso livello; inoltre, gli estremi si allontanano, ovvero i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E la ricchezza si sposta sempre più nei portafogli della popolazione più anziana, a scapito delle giovani generazioni.
Sono queste le tendenze di fondo per l’Italia, che emergono dallo studio “Gini-Growing inequality impact” commissionato dalla Ue, nell’ambito del VII Programma quadro, a un pool di gruppi di ricerca di diverse università europee: un progetto, finanziato con oltre due milioni di euro e sviluppato per circa tre anni, i cui risultati saranno pubblicati in due volumi entro dicembre.
La disparità nella distribuizione dei redditi è stata misurata con l’indice di Gini: si tratta di un indice di concentrazione il cui valore può variare tra zero e uno. Valori bassi indicano una distribuzione abbastanza omogenea, valori alti una distribuzione più disuguale, con il valore 1 che corrisponderebbe alla concentrazione di tutto il reddito del paese su una sola persona.
Dallo studio emerge che, alla fine della prima decade degli anni Duemila, l’Italia ha un indice di Gini pari a 0,34: ovvero, due individui presi a caso nella popolazione italiana hanno mediamente, tra di loro, una distanza di reddito disponibile pari al 34% del reddito medio nazionale.
Lo scrive qui Il Sole 24 Ore.
L’uguaglianza come primo punto dell’agenda: diritti, lavoro, giovani, anziani, sanità e tutti i cardini della democrazia passano da qui. E poi mi dicono che non c’è bisogno di sinistra.