L’aggettivo “esemplare” richiede un’enorme responsabilità nel scriverlo. Andrea Purgatori è stato un giornalista esemplare perché è l’esempio di un giornalismo in disuso in questo Paese. Nella schiera degli accomodanti che amplificano le tesi del potere Purgatori ha rispettato la massima di Mark Twain: non temere ciò che non conosciamo ma temere ciò che crediamo vero e invece non lo è.
Nell’Italia del “cedimento strutturale” del DC9 su Ustica il 21 aprile 1984 sul Corriere della Sera Purgatori scriveva senza remore delle tracce di tritolo sui resti del velivolo. Non era una notizia facile perché squassava la verità confezionata che avrebbe facilmente chiuso il caso e evitato imbarazzi.
Ma il giornalista Purgatori non si è accontentato dello scoop. La verità su Ustica l’ha inseguita, perfezionata, arrotondata in tutta la sua vita professionale, con la pazienza ogni volta di riannodare i fili della storia per renderla comprensibile a tutti. Andrea Purgatori era anche attendibile, nonostante i prevedibili attacchi di chi era danneggiato dalle sue inchieste. La credibilità mantenuta integra pur scrivendo ciò che infastidisce il potere è l’esempio di Andrea Purgatori.
E in un giorno in cui si commemora Borsellino cancellando condanne, fatti accertati, connivenze scritte nelle sentenze come se lo scopo del giornalismo fosse quello di ungere una torbida pacificazione la lezione di Purgatori è esemplare e da custodire. La separazione delle carriere più urgente in questo Paese è quella tra il giornalismo e le autorità.
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