Nel 1982 a Palermo arriva un uomo senza mezze misure. Questa storia, il processo a Giulio, è uno via vai tra persone insopportabilmente opposte. E qualcuno rimane sempre per terra. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa arriva a Palermo nel mese di maggio quando sbocciano i fiori. Prefetto contro Cosa Nostra, lo dicono tutti. “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì” dice lui. Il Generale sa bene che per toccare il cuore di Cosa Nostra c’è da andare ad infilare il dito tra la piega melmosa dove mafia e politica si baciano con la lingua. Sul suo diario scrive del suo colloquio con Giulio del 5 aprile 1982. “Gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia”, annota, “sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori”. Se questa storia fosse solo un film Dalla Chiesa sarebbe il coraggioso che alla fine vince. Eppure, dice il generale, “ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”. Se questa storia fosse un film il generale dovrebbe vincere, con un bel bacio sul finale. Da vivo. Ma questa storia è un’ombra. Un’ombra come un peccato originale. Un’ombra che lascia gente per terra in un campo dove gli opposti non possono convivere, e vivere nemmeno. Alle 21.15 del 3 settembre 1982 la A112 bianca dove viaggiava il Prefetto Dalla Chiesa e la moglie Emanuele Setti in via Carini viene affiancata da una BMW che sputa un Kalashnikov AK-47. Muoiono i coniugi Dalla Chiesa e l’agente di scorta Domenico Russo che seguiva pochi metri più indietro. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti” urla un cartello affisso il giorno dopo. Vengono condannati come mandanti Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. ll 5 settembre al quotidiano La Sicilia arrivò un’altra telefonata anonima, che annunciò : “L’operazione Carlo Alberto è conclusa”.
(dallo spettacolo “L’innocenza di Giulio”)