Saviano, Schlein, Landini, Macron, von der Leyen, i migranti, la magistratura: la premier è sempre alla compulsiva ricerca di avversari o cospiratori che la minaccerebbero. Ogni nuova critica è una prova della sua centralità. Come se avesse un bisogno costante di vigilanza contro complotti immaginari. Due libri analizzano questa sindrome tipicamente italiana.
Il teatro della politica italiana si arricchisce ogni giorno di nuovi protagonisti e antagonisti, ma mai come sotto il governo di Giorgia Meloni si è visto un simile carosello di nemici. L’elenco è interminabile, quasi ossessivo: un susseguirsi di figure, istituzioni e idee che la presidente del Consiglio individua come ostacoli, avversari o cospiratori. Questo atteggiamento non è soltanto una strategia politica, ma sembra rivelare un tratto più profondo, radicato nella psicologia del potere.
Un registro dei nemici vario e composito
Dagli avversari nazionali agli interlocutori internazionali, il registro dei nemici è vario e composito. Tra i più citati, Roberto Saviano, accusato di attaccarla per interesse personale; Elly Schlein, leader del Partito democratico, derisa per la sua presenza ai Pride; Emmanuel Macron, presidente francese, tacciato di neocolonialismo; e persino Ursula von der Leyen, con cui Meloni ha scelto di non collaborare per la sua rielezione alla guida della Commissione europea. Questo catalogo è talmente vasto che persino figure interne alla coalizione, come Matteo Salvini, sono entrate nel mirino della premier, segno di una visione del mondo costantemente polarizzata tra “noi” e “loro”.
Protezione della propria identità
La retorica dei nemici è una caratteristica che non appartiene solo a Meloni. Come sottolinea il saggio Il cerchio della paranoia politica di Laura Bazzicalupo, lo stile paranoico è una componente ricorrente nelle dinamiche politiche. «La paranoia», scrive l’autrice, «si manifesta in una perfetta adesione a immagini ideologiche o stereotipi simbolici, che vengono assunti alla lettera. Il residuo di sé, il segreto non accettato né rappresentabile, viene trasferito sull’Altro, avvertito come totalmente esterno, diverso e minaccioso». Questo spiega come le accuse di Meloni possano apparire così feroci e personali, mentre in realtà rispondono a una necessità più profonda: proteggere la propria identità politica proiettando il kakon – la parte negativa e inaccettabile – su un nemico esterno.
Bisogno costante di vigilanza contro complotti immaginari
Richard Hofstadter, nel suo The Paranoid Style in American Politics, analizza un fenomeno simile nella storia politica statunitense, evidenziando come la paranoia politica generi un senso di urgenza e un bisogno costante di vigilanza contro complotti immaginari. Questo meccanismo è evidente anche in Italia, dove Meloni dipinge un quadro di minacce costanti: dai migranti, descritti come pericoli per l’identità culturale, alla magistratura, accusata di favorire le organizzazioni criminali con le sue decisioni. Ogni elemento della realtà viene filtrato attraverso la lente del sospetto, trasformando il dialogo politico in un campo di battaglia perenne.
Il presupposto delirante: l’esistenza di un nemico onnipresente
Il saggio di Bazzicalupo aggiunge un elemento chiave: «Il paranoico esprime una perfetta padronanza del nous, del ragionamento consequenziale. Tuttavia, questa lucidità razionale si basa su un presupposto delirante: l’esistenza di un nemico onnipresente». Meloni dimostra una capacità straordinaria nel costruire narrazioni coerenti e coinvolgenti, ma queste raccontano sempre di una minaccia esterna, da Macron a Maurizio Landini, passando per Benjamin Netanyahu e Olaf Scholz. Questa narrativa, pur essendo efficace nel consolidare il consenso, rischia di chiudere il discorso politico in un “cerchio paranoico”, dove ogni diversità o critica diventa automaticamente un attacco da neutralizzare.
Strategia deliberata o riflesso inconscio?
La domanda cruciale è: fino a che punto questa ossessione per i nemici è una strategia deliberata e fino a che punto è un riflesso inconscio? Gli studiosi della paranoia politica suggeriscono che questa dinamica è spesso radicata in un bisogno di auto-conservazione. La paranoia, infatti, agisce come uno strumento immunitario, proteggendo l’identità del leader e del suo gruppo politico dalle minacce – reali o immaginarie – che potrebbero destabilizzarla. Tuttavia, come osserva il saggista Massimo Recalcati, «una certa dose di paranoia è necessaria per la costruzione dell’identità, ma la sua radicalizzazione può portare a una cancellazione totale della parte del sé che possiede quei caratteri “nemici”».
Una leader intrappolata in un circolo vizioso di sospetti e accuse
Nel caso di Giorgia Meloni, questa dinamica sembra essere spinta all’estremo. Ogni nuova critica è una prova della propria centralità; ogni nuovo nemico è una conferma della propria missione. Ma come tutte le costruzioni paranoiche, anche questa rischia di implodere su se stessa, intrappolando il leader in un circolo vizioso di sospetti e accuse. Come conclude Bazzicalupo, «il cerchio paranoico è una struttura fragile, incapace di includere l’alterità e dunque destinata a crollare sotto il peso delle proprie contraddizioni». L’Italia, intanto, osserva. Mentre il governo si consuma nella sua lotta contro nemici reali e immaginari, resta da vedere se la parabola di Meloni confermerà le teorie degli studiosi o troverà un modo per spezzare il cerchio della paranoia politica.
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