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Majorino affossato dal suo stesso partito

A elezioni finite il candidato del centrosinistra Pierfrancesco Majorino dice quello che prima non poteva pronunciare: “Non aver avuto un leader di partito a livello nazionale non ci ha aiutato – commenta Majorino -. Non avere avuto un leadership nazionale ci ha costretto a fare di più, anche se ho sentito il Pd lombardo sempre al mio fianco. Siamo un caso di studio a livello internazionale per aver fatto la consultazione sulla leadership interna durante elezioni così importanti come quelle della Lombardia e del Lazio. Rimane il rammarico – aggiunge – di aver presentato il candidato due mesi prima del voto”. Non basta nel Pd lombardo la soddisfazione di “essersi consolidati come secondi”.

Il candidato giallorosso in Lombardia, Pierfrancesco Majorino, contro il Pd: “Non avere un leader ha pesato”

La batosta di queste elezioni regionali è evidente sulle facce di tutti e la vittoria nella città di Milano conferma ancora una volta il milanocentrismo di una campagna elettorale che si gioca anche nelle valli e nelle province. Anche il “laboratorio politico” di cui Majorino parlava, sperando di riproporlo con forza sul piano nazionale, sembra già sfilacciato. Il segretario in bilico Enrico Letta, Andrea Orlando e altri festeggiano il fallimento “dell’Opa contro il Pd di M5S e Terzo polo” che “ha fatto male a chi l’ha tentata”.

Appunto: il centrosinistra non vince anche (e soprattutto) perché non c’è. Il Partito democratico è scisso tra le ali che tendono verso il M5S (l’una) e verso il Terzo polo (l’altra) fallendo in entrambi i casi. E mentre Majorino si dice “convinto del fatto che abbiamo aperto una fase di dialogo, che mi auguro vada avanti” il refrain che va per la maggiore è quello di “viaggiare uniti”. “Credo che gli elettori di centrosinistra meritino sempre una coalizione unita”, spiega Majorino.

Ma nel frattempo Letizia Moratti, proprio negli stessi minuti, ripete ad alta voce che “unire le forze con Majorino che si è schiacciato sul M5S sarebbe stato tradire il nostro elettorato” e annuncia di avere aperto “uno spazio politico nuovo”. Eccola l’idiosincrasia: il Pd vorrebbe tenere insieme partiti profondamente diversi per natura e per programmi. A questo si aggiunge che M5S e Terzo polo continuino legittimamente a dichiarasi inconciliabili. Anche perché il “fronte largo” che qualcuno vede come soluzione prevede la somma degli elettori come se fossero numeri da poter aggiungere in scioltezza.

La situazione è nerissima per tutti. Moratti dimostra di essere inconsistente in una Regione che millantava di avere in mano. Credere che l’ex vicepresidente che per più di mille volte era stata d’accordo con Fontana potesse essere una sua alternativa è una calunnia politica che poteva funzionare solo negli editoriali sballati di qualche giornalista senza contezza (a proposito, dove sono finiti tutti?) e nei palati dei salotti che ora sorseggiano inorriditi il tè del martedì.

Stesso discorso per il Movimento 5 Stelle che fa i conti con una sconfitta certificata anche dalle parole di Giuseppe Conte che parla di “risultato assolutamente non soddisfacente” e finalmente riconosce che la mancanza di “strutture territoriali” (in nome della politica “liquida”) non paga. Unione Popolare, che si proponeva come unico partito di “rottura” rimedia un pessimo risultato.

Bisognerebbe avere il coraggio di dirselo: la vittoria schiacciante di Attilio Fontana arriva dopo una legislatura in cui i lombardi hanno provato sulla loro pelle, nel modo più doloroso possibile, l’inefficienza regionale durante la pandemia. La domanda principale a cui rispondere è una: cosa deve accadere più di una pandemia gestita in modo dissennato per spingere i lombardi a uscire di casa a votare una rivoluzione della propria regione?

A rigor di logica basterebbe essere meno peggio di quegli altri. O forse, semplicemente, si viene visti come “uguali”. E questo dovrebbe essere il primo punto do ogni analisi di ogni sconfitta. Visti i risultati, ora i dirigenti, tutti, dovrebbero andare a casa. Non lo farà quasi nessuno. Solo il segretario regionale di Azione Niccolò Carretta l’ha fatto: “Una delle cause di disaffezione verso la politica è che nessuno si assume mai le responsabilità”, ha scritto. Difficile dargli torto.

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