Non c’è niente di più stancante della prevedibilità. Quando la prevedibilità riguarda poi la traiettoria di un governo il disagio è un cerchio che si aggiunge e ingrassa il tronco. Sono bastati pochi mesi a quello Meloni per inabissarsi nel cono difensivo dei governi precedenti: l’attacco alla magistratura.
Il governo Meloni è la prevedibile copia di Berlusconi ma almeno il Cav ci metteva la faccia
Con una punta di invidia si torna ai fasti di Silvio Berlusconi che erse la magistratura a nemico pubblico da sventolare e con i magistrati orchi alla bisogna. Silvio, va riconosciuto, aveva più simpatica sfrontatezza: ci metteva la faccia, recitava la parte con appassionato entusiasmo, ci metteva il corpo senza riuscire a nascondere il divertimento. La prevedibile copia del governo Meloni invece si riconosce per l’infantile tatticismo. Rilascia una nota da “fonti di Palazzo Chigi”. In pratica diventa retroscenista di sé stesso offrendo alla stampa e all’opinione pubblica un boccone che non ha padroni. «Palazzo Chigi contro la magistratura», sono costretti a scrivere i quotidiani, e ognuno si immagina l’edificio di piazza Colonna sbattere le imposte e pestare le porte. Un’accusa senza una firma ha il retrogusto del venticello leggero della calunnia. Se avesse proposto un pezzo del genere un qualsiasi giornalista avrebbe dovuto fare i conti con il suo caporedattore mentre gli appoggiava la mano sulla spalla e gli diceva che no, dai no, non può essere davvero una notizia.
La destra usa tutti i trucchi: gridare all’assedio, cavalcare l’indignazione, tutto pur di non parlare di politica
Invece eccoci qua. A luglio del 2023 il governo Meloni imbocca ufficialmente il sentiero dello scontro con la magistratura come panacea di tutti i mali, di tutti i rischi, di tutte le insofferenze e di tutte le difficoltà. In fondo “l’eredità politica di Silvio Berlusconi” consiste anche in un semplice manuale di trucchi da animatore politico. Li ritroviamo tutti: opporsi all’opposizione mentre si è al governo per lasciare intendere che si sia sotto attacco, cavalcare l’indignazione su questione impolitiche per non dover parlare di politica, rispondere alle domande rivendicando l’umanesimo dei propri errori (perfetta la ministra Santanchè, in questo), sindrome dell’assedio e immediato contrattacco quando c’è di mezzo la magistratura. E le premesse e le promesse? Non c’è problema. La forza delle narrazioni sta anche nel loro sciogliersi in fretta. Le narrazioni sono lavabili, possono essere capovolte, amano essere contraddette. Sembra un’altra era quando Giorgia Meloni si presentava agli italiani promettendo un nuovo patto sociale in cui avremmo conosciuto «una nuova destra». La presidente del Consiglio aveva promesso l’ascolto di ogni protesta e poco dopo si è inventata il reato di manifestazione ambientalista con vernice lavabile. «Sarò la presidente di tutti gli italiani», disse nel suo discorso in parlamento. Anche questa è una frase diventata un genere letterario.
Quella di Giorgia Meloni sembrava una storia ben scritta e invece si è rivelata vecchia
La “storia” di Giorgia Meloni sembrava ben scritta, con gli ingredienti giusti per funzionare. C’era l’infanzia di borgata riscattata dall’impegno, c’era la militanza di partito nell’epoca dei parvenu, c’era l’autonomia, soprattutto. «A differenza di altri io non sono ricattabile», disse Giorgia Meloni presentandosi agli italiani nelle vesti di presidente del Consiglio. La frecciata, manco a dirlo, era rivolta a quel Silvio Berlusconi che inutilmente aveva provato a tarparle le ali. Al di là delle inclinazioni politiche di ognuno ascoltandola si è pensato che almeno avremmo visto una storia nuova. «Peggio di una storia brutta c’è solo una storia vecchia», mi disse un ex direttore molto in vista qualche anno fa. Aggiunse che gli elementi che funzionano sono la crescita esponenziale, una difficoltà imprevista, il superamento della crisi e poi il riscatto. Quanto sia imprevisto che la magistratura indaghi (anche) sulla classe dirigente del Paese ognuno lo può giudicare per proprio conto. Quanto sia prevedibile che una destra sovranista indichi la magistratura come un “deep State” contro lo Stato lo dice la storia recente. Una storia così vecchia che potremmo scrivere già il plot delle prossime puntate: scontro, polarizzazione, caduta, beatificazione. In attesa del prossimo che si professerà finalmente non ricattabile, applausi scroscianti e via, di nuovo.
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