Finita la buriana delle elezioni vale la pena tornare su questo refrain che ci ritroviamo praticamente tutti i giorni soffiato da diversi capi di partito che insistono nel dirci che la cosa migliore che potrebbe capitarci sia un Draghi dopo il 2023, perfino dopo il 2028 e chissà forse fino al 2050.
La politica italiana, soprattutto la parte più miope, serba questo desiderio, quasi un riflesso incondizionato, di trovare il modo più indolore per fermare tutto com’è, congelare lo scorrere dei problemi e dei desideri e quindi riuscire a non doversi impegnare per un Paese che cambia continuamente nei bisogni e nelle decisioni. Non serve certo in fine analista politico per intendere che i capi partito e parlamentari eletti anelano all’errore zero confidando in un certo immobilismo. Nel dire “teniamoci Draghi” c’è tutta l’inettitudine di chi crede che basti il nome senza nemmeno sforzarsi di dirci “per fare cosa”.
Draghi in questo è utilissimo: prende decisioni che i partiti non avrebbero mai il coraggio di prendere e comunque guida un governo sostenuto da partiti che possono in continuazione farci sapere di non essere d’accordo con ciò che fa il governo di cui sono parte. Praticamente sono saliti su un pullman con l’unica preoccupazione di fare delle belle foto ricordo del viaggio e con l’impegno di ricordarsi di fare le pipì durante le soste.
La democrazia è molto più semplice di come qualcuno si sforza di raccontarla per renderla ostica: se Draghi ha intenzione di continuare a fare il presidente del Consiglio gli basterà trovare una coalizione (o un partito unico, che renderebbe meglio l’idea) che lo sostenga alle prossime elezioni rinunciando ai proprio giochetti di segreteria e soprattutto che si prenda la responsabilità di un’agenda di interventi che non può fingere che sia capitata per caso o per emergenza.
Forse vale la pena anche notare come i sostenitori del Draghi dopo Draghi siano in gran parte gli stessi che ci rifilano sonori pipponi sull’astensione e sull’allontanamento della gente dalla politica: quanta voglia vi verrebbe di votare in un Paese in cui i segretari di partito si fanno fintamente la guerra tra di loro e poi in ogni intervista ci confessano di sognare di farsi altri 5 anni di gita insieme deresponsabilizzati dalla presenza di un taumaturgo che sono riusciti a travestire da agente esterno della politica?
Negare la politica per autopreservarsi è l’atteggiamento più fastidioso che si possa cogliere in un partito, in un periodo politico, in un governo: possiamo tranquillamente dire che in questi mesi stiamo assistendo a un capolavoro del genere.
Buon mercoledì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.