Avete visto? L’onda (e l’orda) antimafiosa sta già scemando. C’era da immaginarselo. L’arresto di Matteo Messina Denaro ormai è solo la terza serie, dopo quelli di Riina e Provenzano, girata su un copione già scritto. Rispetto a Netflix cambiano i tempi che qui sono molto più dilatati e quindi alla fin fine gli sceneggiatori possono permettersi di ripetere scene già viste, di usare trucchi narrativi già abusati.
Il processo di umanizzazione della belva
Come le altre volte, abbiamo visto il boss sfilare davanti alle telecamere con appiccicata in faccia tutta la delusione per la fine del suo videogioco criminale. Riina, Provenzano e Messina Denaro hanno tutti e tre con quella stessa faccia dell’alunno che esce da scuola con un brutto voto in tasca e gli toccherà fare i conti con il mondo lì fuori. Messina Denaro può sciorinare anche una malattia, una malattia brutta che taglia la gola alla speranza, per trasformare la sua prigionia in un sequel in cui non mancheranno gli aggiornamenti: ha mangiato, sta bene, sta male, gli hanno cambiato cura, soffre, non soffre, è un leone. Medici, famigliari ed esperti di malattie mafiose potranno sbizzarrirsi. Guardate che non è poco, si tratta di un ulteriore gancio per umanizzare la belva, per romanticizzare la mafia e per assicurarsi capitoli successivi. La saga di Matteo Messina Denaro però ha già stufato. Gli sgoccioli si giocano con le riprese – fatte male e troppo velocemente – del suo “bunker” che è un anonimo appartamento arredato con cattivo gusto. Anche su questo i titoli però non hanno freni. “Il boss aveva in casa una palestra”, scrivono mentre scorrono le immagini di una panca a basso costo e nient’altro. Iperboli a piene mani da dare in pasto a un pubblico con la pancia già piena di mafia, di antimafia e dell’ultimo boss. “Ritrovata perfino una pistola pronta a sparare”. Perfino? Ormai una pistola nel comodino ce l’hanno anche i leghisti che sognano di incappare in una difesa sempre legittima e stecchire qualche straniero sul cancello. Un’altra notizia che non c’è.
La mafia viene raccontata come qualcosa di alieno, totalmente estraneo da noi
I servizi giornalistici sono una via Crucis. Si passa dall’inviato che si sente Peppino Impastato con il microfono inquisitore sotto il naso del fruttivendolo di Campobello di Mazara: «Perché ha venduto le zucchine al boss facendo finta di niente?», gli chiede con gli occhi infuocati di tutto lo sdegno che riesce a simulare. L’Italia è in rovina perché quello non si è ribellato negando le banane, capito? Non sono solo scemi i boss mafiosi che abbiamo catturato, c’è una scemenza generale che fa a gara per scemizzare le mafie e così renderle aliene, roba che non ha niente a che vedere con noi, roba lontana che possiamo ammirare nei tiggì o nei libri fiabeschi degli antimafiosi da autogrill. Tutto così. Imperdibile la sottosegretaria di governo che durante una trasmissione televisiva, mentre qualcuno faceva notare che «l’imprendibile boss» se ne andava bello e tranquillo in giro per il paese, ha avuto il coraggio di dire che «il fatto che Messina Denaro non vivesse rinchiuso come ci si sarebbe aspettato ma tranquillamente, come se niente fosse ha reso molto più complicata la sua cattura». Incredibile. Fanno a pezzi perfino la logica pur di rispettare il copione.
Manca il pezzo più importante di tutta la storia: chi sono le vere menti?
Il fatto è che quando irrompe la mafia, nella politica o nel giornalismo, possiamo toccare con mano l’indicibile ignoranza sul tema. Così ci tocca assistere a giornalisti e intellettuali impegnati a smentire la smentita delle loro decennali narrazioni operata dalla realtà che irrompe. Messina Denaro che frequentava “belle donne” e faceva “la bella vita” ha riempito quintali di libri, di giornali, di editoriali. Si è scoperto che chattava su Whatsapp con la sua vicina di letto in ospedale. Fra qualche settimana scopriremo che inviava le foto del suo pene via Facebook. Ma loro faranno finta di niente, insisteranno nel dipingerlo come un genio del male. Gli serve che sia così: qualsiasi persona, assistendo alle fasi dell’arresto di Messina Denaro, ascoltando la sua rete di protezione locale, conoscendo le sue abitudini per niente accorte, ha la lancinante sensazione che manchi il pezzo più importante di tutta la storia. Altro che mente. Matteo Messina Denaro è il braccio di un sistema di potere solo in minima parte criminale. E quindi chi sono le menti? Questa è la domanda da non fare. Tocca accontentarsi delle calamite di Masha e Orso ritrovate sul suo frigorifero.
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