È un piccolo passo ma non è roba da poco. Nella pelosa vicenda di Julian Assange, fondatore di Wikileaks che rischia 175 anni di carcere negli Usa per avere svelato al mondo notizie che il potere avrebbe voluto omettere, perfino sapere di avere il diritto di presentare appello è una buona notizia.
I giudici britannici dell’Alta Corte, sullo Strand, hanno messo nero su bianco i tre motivi per cui Assange ha il diritto di fare appello: la sua estradizione è incompatibile con i suoi diritti alla libertà di espressione sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la possibilità di essere discriminato in un processo negli Usa a causa della nazionalità australiana che non gli consentirebbe di appellarsi al primo emendamento e il rischio concreto di incorrere nella pena di morte. Sono i tre punti che da anni ripetono i legali di Assange e gli attivisti in sua difesa in tutto il mondo.
Ci sarebbe poi un quarto motivo, quello che interessa tutti noi: fare passare il giornalismo per spionaggio è una pratica pericolosa per la compressione del diritto di essere informati. Ma su questo ci sarà tempo per discuterne e soprattutto per accorgersene. Ora si dovrebbe chiudere quanto prima questa tortura che vede un uomo con l’incontestabile merito di avere svelato al mondo i crimini della guerra in Iraq e Afghanistan – che rimane un’ottima lezione per le guerre d’oggi – ridotto a una larva in un carcere duro nel Regno Unito dopo anni passati nei pochi metri quadrati dell’ambasciata londinese in Ecuador.
La moglie Stella ieri ha detto che gli Usa vorrebbero “mettere il rossetto al maiale” per rendere potabile un gioco sporco. Forse sarebbe il caso di smettere.
Buon martedì.
Nella foto: frame del video dei sostenitori di Assange, Londra, 20 maggio 2024