Appena ho letto la riforma della costituzione presentata dalla ministra Boschi, ho deciso che avrei votato NO. Al di là delle singole modifiche, i cui pasticci nella teoria e le cui conseguenze nella pratica sono state indicate già dai migliori costituzionalisti, voterò NO perché da cittadina mi ripugna il pensiero di fondo che si annida nel cuore stesso della riforma: che la governabilità (o stabilità) sia un valore inversamente proporzionale alla partecipazione. Rendendo il senato ineleggibile, triplicando le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare, abbassando il quorum solo se aumentano del 60% le firme per i referendum abrogativi e inserendo la clausola di supremazia, il governo Renzi ci sta dicendo: “più diventa difficile per i cittadini partecipare alle decisioni e meno sono gli organismi di loro rappresentanza, meglio governiamo”.
Chi accusa la proposta di riforma di avere elementi di autoritarismo non sbaglia: se passasse, la riforma consentirebbe al governo di intestarsi un potere enorme a ogni elezione grazie a un ipertrofico premio di maggioranza, e per tutta la legislatura non doversi confrontare più non solo con opportuni contropoteri interni alle istituzioni, ma molto meno anche con i cittadini. Attualmente abbiamo molti modi legittimi di intervenire sull’azione di governo, non solo quello di votare i nostri rappresentanti; ma la modifica del Titolo V – che regola le competenze tra stato e regioni – interverrà pesantemente anche sulla capacità dei movimenti popolari di fare pressione sui propri amministratori, che davanti alle proteste allargheranno le braccia e diranno: non dipende più da noi.
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