(L’articolo originale è qui)
“Michele aveva cominciato a picchiare con tutta la voglia che aveva accumulato negli ultimi anni, come si immaginava si potesse picchiare solo prima di morire. E non menava solo quei tre cuccioli d’avvoltoio, no, picchava i ricchi sempre gonfi alla domenica mattina; picchiava quelli che gridano scemo a Massimiliano che piangeva come i magri anche se è grasso come un tacchino, e picchiava anche per lo scemo di troppo che gli dava quando anche lui esagerava con lo scherzo; picchiava per i vecchi così vecchi che fuori dalla chiesa sembra che ci manchi solo ceh se li porti via il vento o li sciolga questo sole unto”.
Si sfoga così, per almeno due pagine, la rabbia di Michele Landa contro tutti gli oppressori e gli oppressi, contro se stesso e la sua famiglia, contro gli ignavi, contro le ingiustizie. Michele, Michele Landa, è il protagonista di “Mio padre in una scatola da scarpe”, romanzo di Giulio Cavalli edito da Rizzoli.
Un romanzo di mafia, ma senza essere troppo plateali. Nessuna coppola o lupara, ma gente normale, gente che per sopravvivere serenamente nel posto in cui vive è costretto alla fine a chinare la tesa, ad arrendersi, a diventare anonimo e invisibile.“Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li”. Un insegnamento che in molte zone del nostro paese viene dato appena incominci a camminare: se vuoi campare, pensa ai fatti tuoi. Resta una persona perbene ma a chi sta sopra di te non dare mai fastidio, non opporti, non alzare la voce. Un insegnamento che viene impartito anche a Michele Landa, un metronotte di Mondragone. Un uomo che tutto ciò che desidera nella sua vita è arrivare alla pensione e godersi i suoi affetti, il suo orto, svegliarsi la mattina e non avere paura di non avere il coraggio di guardarsi allo specchio. Ma qui, a Mondragone, il coraggio è necessario: serve anche per vivere tranquilli, per non farsi sopraffare dalla tracotanza e le minacce dei Torre e dall’omertà dei compaesani. Michele lo sa che non bisogna alzare la testa, ma nonostante tutto sa che le cose, se si vuole, possono cambiare.
Tratto da una storia vera, quella di Michele Landa, ucciso e bruciato a Mondragone la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006. Una storia ancora oggi avvolta nel mistero e dimenticata, come le tante storie di mafia e di camorra. “Mio padre ha lavorato in molti posti brutti, ma Pescopagano lo spaventava: puttane, spacciatori, camorristi, criminali nigeriani, là ci sta tutto meno che lo Stato”, diceva ai media suo figlio Antonio.
E’proprio da una frase agghiacciante di suo figlio che Giulio Cavalli prende spunto per il titolo del romanzo: “La scientifica ha ripulito la macchina, ma siamo andati lo stesso nel deposito giudiziario. Abbiamo trovato un femore, la fibbia della cintura di papà, le chiavi di casa e altre ossa. Ce lo siamo portati via in una scatola di scarpe”.