Che tragica opera buffa la ‘ndrangheta che in Lombardia in incognito si fa chiamare Lombardia. Un’opera da qualcosa in più dei soliti tre soldi con qualche Pantalone, un paio di Azzeccagarbugli e la solita decina di politici distratti. La colonna sonora sarebbe una mazurka tra le consonanti ispide calabresi e le vocali lunghe lombarde.
POLITICI INCONSAPEVOLI. Una razza in costante aumento: “io non sapevo”, “non lo conosco”, “incontro tante persone in campagna elettorale”, “ognuno vota chi vuole”. Ormai possiamo dare per assodato che a lato dei candidati che sudano a smontare gazebo con il nero dei santini sulle mani, in Lombardia si è ramificata una nuova generazione di candidati: le vittime (vincenti) delle preferenze criminali. Faraoni e signorotti a cui pagano cene elettorali a tradimento schiere di fan estasiati e criminali ovviamente a loro insaputa. Però sono da capire; a differenza di Scajola e la sua casa regalata a tradimento, sulle preferenze non si paga l’ICI e sono più difficili da scovare. Abelli non sapeva che l’ASL di Pavia fosse un suo comitato elettorale con un cordone ombelicale che andava diritto tra i peli della ‘Ndrangheta. Emilio Santomauro è un fuoriclasse: dopo essere inconsapevolmente caduto nelle mani della camorra (con il clan Guida) è passato per sbadataggine sotto gli interessi della ‘ndrangheta. Del resto, essendo un uomo dal sangue UDC è sempre stato professionista della larghe intese per “ricucire l’Italia”. Poi c’è Ponzoni Massimo, che se di nome facesse Tom potrebbe essere un eroe del male per fumetti: ultimamente riesce ad essere per caso e per sfortuna in quasi tutti i “buchi neri” lombardi. Ma solo quando lo troveranno con un carico di armi nucleari in giardino sarà abbastanza indegno da pensare alle dimissioni.
BOSS DALLA LINGUA LUNGA. Ad ascoltarli fanno tenerezza. Lontani anni luce dall’icona del boss tra cacchette di capra e ricotte che scriveva in codice sui pizzini stropicciati come Binnu Provenzano, oggi gli aspiranti boss lombardi sono un misto di prepotenti con la cazzuola ed esosi da periferia. Il guappo Vincenzo Mandalari al telefono nel febbraio del 2009 si incensa come fanno le sciantose sotto il portico della Scala: “C’è stato un momento, in cui ad Assago comandavo io! credimi! per mia negligenza, sempre per il fatto di essere abusivista, io ce l’ho nel sangue di essere abusivista!”. Poi, resosi presto conto che “i politicanti vedi che sono scemi” decide di scendere in campo. Aveva in mente di darsi da fare a Bollate per le elezioni comunali. Una strategia precisa: far cadere l’attuale amministrazione, prima, ed eleggere un sindaco amico, poi. “Adesso riusciamo a farla cadere, perché io mi sono intrufolato in politica»”dice in una conversazione del 13 febbraio 2009 Mandalari, e poi l’idea di fondare un partito “non è importante destra o sinistra a livello locale”. Un politico con le idee chiare, senza dubbio. Se è vero che Calderoli è diventato ministro non possiamo che ringraziare la Boccassini per avere frenato la rincorsa di Vincenzino verso la Presidenza del Consiglio. Ma la lingua lunga, nell’opera buffa della ‘ndrangheta milanese si paga: così oggi al Mandalari latitante per la sgarrupata periferia milanese forse converrebbe una residenza certa in carcere piuttosto che un bossolo lucido infilato nella schiena. Le malelingue dicono che stia facendo le primarie per decidere se costituirsi.
MEDICI MITOMANI E BOSS PER FINTA. Più parla Carlo Antonio Chiriaco e più rischia di diventare l’eroe incontrastato della tragica farsa passato il polverone. Direttore sanitario dell’Asl di Pavia e arrestato per associazione mafiosa e corruzione, oggi dichiara di avere fatto tutto per finta. Perché malato. Un direttore sanitario patologico. La radice quadrata di un direttore sanitario ma anche un boss alla seconda. Un mafioso pentito di non essersi pentito di aver giocato, per finta, fino a convincere la mafia ad essere uno di loro. Un mitomane che comprava voti al “faraone” Giancarlo Abelli corrompendo qualche paio di infermieri per una sua libido elettorale. Un direttore sanitario che tra una preghiera a Don Giussano e un inchino a Comunione e Liberazione era affascinato «morbosamente» (dice proprio così nell’interrogatorio) dalla voglia, fin da giovane, di farsi credere dagli altri un malavitoso della ’ndrangheta, per vedere poi l’effetto che fa in chi ascolta. Un mafioso per finta. Ma la nomina alla direzione dell’ASL è una cosa verissima.
IL BOSS DEI BOSS CHE SERVE A MARONI. Pino Neri è il capo della ‘ndrangheta in Lombardia, nessuna prova più lampante della sua tesi di laurea sui “riti della ‘ndrnagheta”. Anzi no, arrestato il boss dei boss Pasquale Zappia. Il capo dei capi era lui. E che diamine, è anche stato eletto a Paderno Dugnano dai mafiosi, non si può andare contro la volontà popolare dei ‘ndranghetisti. Anzi, scoop: il grande capo è Cosimo Barranca. Ha il cognome onomatopeico della potenza criminale. Prima pagina: Domenico Oppesidano, il vero volto del re della ‘ndrangheta. Comunque vada, in Italia, se c’è qualche maxi operazione trovatevi presto il boss dei boss. La comunicazione spicciola antimafia e di propaganda elettorale ha bisogno di una faccia che funzioni da copertina. E non importa se la forza della mafia calabrese sia proprio il suo essere orizzontale. La disattenzione, al massimo, la pagheranno i nostri figli.
GLI ESPERTI DELL’ULTIM’ORA. Come Puffo Quattrocchi giro e rigiro ripetendo tra me e me “l’avevo detto, io”. Ma è una recriminazione per cui non vale la pena. In compenso uomini di destra e di sinistra, associazioni e istituzioni oggi ci dicono che loro lo sapevano già. Mi ricordo bene l’appoggio e l’affetto quando da allarmista inascoltato e inascoltabile mi battevano la pacca sulla spalla. Credevo fosse pietismo, invece evidentemente è il loro modo di essere utili alla causa.