Sopraggiunta l’alba, in Emilia è arrivata la bufera. La grande retata antimafia ha fatto terra bruciata attorno alla ‘ndrangheta emiliana: 117 arresti e beni per svariati milioni di euro sequestrati. Così gli uomini del comando provinciale dei carabinieri di Modena, Reggio Emilia Parma e la Direzione investigativa antimafia bolognese, coordinati dalla procura antimafia di Bologna hanno inferto un duro colpo alla ‘ndrangheta emiliana. Già, la definizione che i pm utilizzano è proprio questa. E la utilizzano per descrivere una cellula semi autonoma della mafia calabrese nella ricca Emilia Romagna. I reati contestati vanno dall’associazione mafiosa all’usura al riciclaggio. Altri 46 fermi invece sono stati emessi dalle procure di Brescia e Catanzaro per gli stessi reati.
Mille i militati impegnati nell’operazione, che dopo l’operazione Crimine-Infinito sulle cosche lombardo-calabre (300 arresti nel luglio 2010) e Minotauro, sulla ‘ndrine piemontesi (142 fermi) è la seconda più ampia realizzata negli ultimi dieci anni. E per l’Emilia domani non sarà un giorno normale. Perché dai nomi degli arrestati e dalla qualità dei business in mano ai padrini si intuisce che l’organizzazione ha fatto il salto di qualità proprio in Emilia Romagna.
A essere finito sotto inchiesta è uno dei casati mafiosi più ricchi e potenti della Calabria, con ramificazioni in Germania e Francia: il clan Grande Aracri. Originario di Cutro, provincia di Crotone, da decenni la maggior parte dei suoi membri vivono tra Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Non solo. Perché nel tempo hanno allungato i loro tentacoli fino alla vicina provincia mantovana, cremonese e veronese. Insomma, hanno seguito l’autostrada del Brennero e oltrepassato il Po in direzione Nord Est.
In queste zone, spiegano gli inquirenti, la ‘ndrangheta ha assunto una nuova veste colloquiando con gli imprenditori locali.
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