Si può pensarla come si vuole, si può continuare a partiticizzare tutto, la trattativa, i pm, le procure, le parole, ma che Ingroia lasci l’Italia e le indagini non può essere una buona notizia. Nemmeno per i suoi nemici (se fossero intellettualmente onesti) che vedrebbero sprecata l’occasione di smentire le sue ipotesi. E invece esulteranno, in tanti. E lì galleggerà il torbido che da vent’anni non riesce a togliersi l’odore acre del tritolo dalla cravatta.
Alla fine lascia: Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo titolare della indagine sulla trattativa Stato-mafia e al centro di roventi polemiche per le intercettazioni delle conversazioni del presidente della Repubblica Napolitano, finite davanti alla Consulta, andra’ in Guatemala, come scrivono alcuni giornali. Come anticipato a giugno dall’ANSA, il magistrato era stato contattato dalle Nazioni Unite per ricoprire un incarico annuale di capo dell’unita’ di investigazioni e analisi criminale contro l’impunita’ nel Paese centroamericano. Il, progetto, pero’, aveva avuto una battuta d’arresto. Secondo indiscrezioni, il pm aveva chiesto informalmente al Csm di mantenere il posto di aggiunto a Palermo, trovando una fredda accoglienza a Palazzo dei Marescialli. La vicenda era stata seccamente smentita da Ingroia che aveva negato di avere ricevuto proposte formali dall’Onu e che aveva sostenuto che si trattava di mere ipotesi. ”Da tempo le Nazioni Unite mi hanno proposto l’incarico – dice il pm – La proposta la considero una sorta di prosecuzione della mia attivita’ in Italia. In quelle latitudini, per fortuna, i giudici antimafia italiani sono apprezzati anziché’ denigrati e ostacolati”. Il magistrato dovrebbe lasciare Palermo in autunno.