Ne scrivevo ieri su Il Fatto Quotidiano: la riflessione sulla parata del 2 giugno e sul segnale che si è richiesto a gran voce ieri e in queste ore ha orizzonti più lunghi. Sappiamo benissimo che l’organizzazione è completata e, inevitabilmente, i soldi tutti spesi (o almeno una gran parte) ma la richiesta di un segnale (che sia sulla parata, sugli acquisti militari o qualsiasi altra cosa) è legittima, democratica e non ha niente a che vedere con l’antipolitica. È ultra politica: desiderio amplificato a cui si è costretti a rispondere. E quindi può fare solo bene. E forse ha ragione Gramellini quando chiede di sfruttare il momento per provare ad aprire la riflessione:
La domanda che la coincidenza fra celebrazione e tragedia riporta alla ribalta è un’altra: nel 2012 ha ancora senso festeggiare la Repubblica con un rito così poco sentito dalla maggioranza dei cittadini? Ogni comunità ha bisogno di riti e di simboli. Ma sono le religioni che li mantengono inalterati nei secoli. Non gli Stati. Non tutti, almeno. Penso sommessamente che quest’anno il 2 giugno si onori di più la Repubblica andando fra i terremotati che fra i carri armati.