Si tratta di piccoli e grandi gruppi che fanno affari in molteplici settori senza però farsi una guerra. Ne parla oggi Cristiana Mangani sul quotidiano Il Messaggero:
E così si registrano in totale ben 46 clan che hanno messo le mani sugli affari in città. Mafie italiane e straniere che collaborano nel campo della droga, delle armi, della prostituzione, del gioco d’azzardo e dei falsi. Gestiscono la catena della distribuzione dei prodotti ortofrutticoli, il settore della ristorazione, lo smaltimento di rifiuti, i supermercati, il settore turistico e le agenzie portuali.
Il Messaggero riporta anche la testimonianza di un pentito che ha conosciuto a fondo la realtà criminale del quartiere di San Basilio. Racconta ancora Mangani:
«Conosco tutta la realtà di San Basilio – riferisce un pentito ai magistrati – dove alcune famiglie gestiscono 4 piazze: la prima gestita da Cataldi, la seconda detta La Lupa dai Cimino, una terza dai fratelli Primavera (arrestati a luglio scorso dalla polizia, ndr) e dal loro padre, e la quarta dal figlio di tale Fabio “il nero”, di cui non ricordo il nome. C’è poi un’altra piazza che è in mano ai Pupillo Cataldi: ha iniziato con lo spaccio al minuto di hashish e marijuana tra le case popolari di San Basilio. Cataldi opera insieme alla sua famiglia e a una rete di spacciatori, sentinelle e contabili. Negli ultimi 4 anni ha immesso sulla piazza di San Basilio ingenti quantitativi di droga».
Il racconto del collaboratore di giustizia fornisce dettagli che sono poi stati riscontrati dagli inquirenti: «La piazza gestita da Cataldi era quella aperta per più tempo, facevamo i turni. Prima che io arrivassi c’erano tre turni, dalle 7 alle 14; dalle 14 alle 21, e dalle 21 alle 7 del mattino successivo. Si lavorava e si guadagnava molto (oltre 30 mila euro al giorno) perché c’erano meno controlli di polizia. Mi è stato raccontato – aggiunge – che c’era la fila per entrare a San Basilio da via del Casale di San Basilio e fu necessario organizzare la circolazione stradale mettendo degli spartitraffico perché le macchine degli acquirenti si intrecciavano».
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