Di Fabio Di Todaro, qui:
Al Teatro della Cooperativa di Milano è andato nuovamente in scena Nomi, cognomi e infami, lo spettacolo di Giulio Cavalli che fa riflettere in modo ironico sul delicato tema delle criminalità organizzate.
Parla senza peli sulla lingua: e fin qui nulla di nuovo. Ma di Nomi, cognomi e infami, opera di Giulio Cavalli riproposta nei giorni scorsi al Teatro della Cooperativa di Milano, stupisce la stringente attualità, nonostante lo spettacolo sia stato prodotto quattro anni fa. Non un’epoca a teatro, ma il segno dell’immobilismo di un Paese che, sebbene la morsa della crisi sia sempre più stringente, ha finora lasciato scorrere invano giorni preziosi.
È un monologo intelligente quello dell’attore lodigiano, abile a coinvolgere con ritmo costante il pubblico e a farlo finanche sorridere, nonostante l’amarezza dei temi trattati. Uomini veri e altrettanti taroccati. Sul palco è tutto un susseguirsi di persone che, per il loro spiccato senso civile, sono oggi riconosciute come eroi: dai giornalisti Peppino Impastato e Roberto Saviano ai magistrati Bruno Caccia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma Cavalli, pur non citandoli, fa riferimento anche a tanti altri esponenti dell’antimafia meno noti: la giornalista Rosaria Capacchione, i rappresentanti dell’associazione Libera, il magistrato palermitano Nino Di Matteo.
A frapporsi a loro, nello spettacolo come nella vita, una serie di personaggi balzati agli onori della cronaca per pavidità, povertà culturale e interessi illeciti. Vengono così fuori dei ritratti di boss autentici, ma difficili da riconoscere. Costanti anche i riferimenti alla Lombardia, divenuta terreno di coltura prima di Cosa Nostra e più recentemente della ‘Nrangheta. «Se l’eroina era un business per le organizzazioni criminali e i suoi morti sono riconducibili ad attività illecite, la Lombardia è la regione che conta il più alto numero di morti di mafia». Giulio Cavalli, nei panni del giullare medioevale, punta a stimolare «il muscolo della curiosità, perché non ha senso commemorare ogni anno le vittime di mafia e vivere tutti gli altri giorni dimenticandosi di loro e fingendo di non vedere ciò che accade attorno a noi». Chiaro il riferimento alle recenti celebrazioni in memoria di Lea Garofalo: «Quanti di voi sanno che Lea è morta per colpa dello Stato che le ha tolto il programma di protezione riservato ai testimoni di giustizia?». Pochi, sicuramente, sebbene il 14 ottobre scorso le lacrime abbiano rigato il volto di molti italiani, nel giorno del funerale in cui Milano ha reso omaggio alla donna di Petilia Policastro uccisa dalla mafia calabrese all’ombra della Madonnina nel 2009.
Cronaca e analisi si intrecciano, portando in copertina storie meno note anche al pubblico più sensibile alla tematica. Lo spettacolo – tratto dall’omonimo libro scritto da Cavalli e pubblicato da Edizioni Ambiente – riesce nell’intento di svegliare le menti ed esorcizzare il tema delle minacce, mai direttamente affrontato dall’attore nel corso della rappresentazione.