Sono stato molto più amato di quanto io non abbia amato. Ogni cosa in amore inizia e finisce. È un fatto che gli dei ci invidiano. Mi viene in mente L’Immortale di Borges che è disperato perché non riesce a morire. Perché non c’è più l’attimo fuggente. Gli amori più sono grandi e più sono destinati a finire».
Li rimpiange?
«Sono la mia malinconia: una tristezza che si è fatta leggera. C’è bellezza anche nel decadere degli entusiasmi, nello spegnersi delle attitudini, nel corpo che non ti risponde più come una volta e ti obbliga a stare al suo servizio e non lui al tuo. Cambia la percezione del mondo. Queste parole mi colgono nell’assillo del tempo che passa. E dei progetti che non ho ancora realizzato. E so che vorrei fare ancora tante cose. Non mi piaccio come attore, mi piace il cuore del pubblico. Conquistarlo sera dopo sera. Fino alla fine».
Teatro, amori, vita di Giorgio Albertazzi intervistato per Repubblica.