Il decreto sulle liste d’attesa per ora non ha ridotto di un centesimo le liste d’attesa. In compenso ha fatto infuriare le Regioni e le Province autonome che l’hanno bollato come propaganda.
Regioni e Province scrivono quello che fin dall’inizio era sotto gli occhi di tutti: illudersi di riformare la sanità pubblica senza aggiungere soldi è puro marketing sanitario, anche perché, scrivono i presidenti, “il Fondo sanitario nazionale è già largamente insufficiente”.
Secondo la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi «Questa bocciatura dovrebbe preoccupare molto il ministro della Salute e indurlo ad occuparsi seriamente del servizio sanitario nazionale abbandonando la strada dello smantellamento – dice -. È sempre più evidente la volontà del governo Meloni di privatizzare la salute. Non c’è nessuna vera risposta alle persone che attendono di essere curate e i roboanti annunci pre-elettorali si sciolgono come ghiaccio al sole».
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ritiene “imprescindibile lo stralcio dell’articolo 2 la cui attuale formulazione è quanto meno lesiva del principio di leale collaborazione” che demanda all’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria la gestione delle segnalazioni di cittadini, enti locali ed associazioni di categoria, scavalcando le Regioni. Le Regioni e le Province Autonome valutano dunque “che l’attuale formulazione, ove non emendata, presenti dei profili di illegittimità costituzionale”.
È l’elastico dell’autonomia differenziata che diventa indifferenziata alla bisogna. Sono le famose “nozze con i fichi secchi”.
Buon venerdì.